Marco temporal e COVID19: non c’è pace per i popoli indigeni del Brasile
di Maddalena Formica
Negli ultimi mesi sono giunte fino a noi le notizie di proteste che hanno coinvolto migliaia di
indigeni brasiliani del movimento Luta pela vida (Lotta per la vita), coordinato dall’Articulação dos
Povos Indígenas do Brasil (APIB).
Oggetto del dibattito pubblico e delle numerose manifestazioni è in particolare una sentenza del
Supremo tribunale federale, ancora oggi attesa con trepidazione da centinaia di tribù indigene
brasiliane. A inizio settembre, infatti, il Tribunale avrebbe dovuto pronunciarsi su una questione di
espulsione che oppone il popolo Xokleng allo Stato brasiliano di Santa Catarina. La problematica
decisione porta in realtà sulla costituzionalità del marco temporal, una tesi che potrebbe
legittimare il processo di land grabbing, ovvero l’“accaparramento di terra”, di cui gli indigeni
brasiliani, come molti altri popoli indigeni in ogni angolo del mondo, sono stati e sono tutt’oggi
vittime.
Sul fondamento di tale tesi potrebbero essere assegnati ai popoli indigeni unicamente quei
territori che questi dimostrano di avere occupato al momento della promulgazione dell’attuale
Costituzione, il 5 ottobre 1988: la consacrazione di un tale principio legittimerebbe così
quell’espropriazione di terre temuta oggi dalle migliaia di persone che manifestano a Brasilia. Oltre
alla difficoltà per alcuni di questi popoli di dimostrare giuridicamente la propria presenza su un
territorio, una pericolosa realtà soprattutto per gli indigeni “non contattati”, si aggiunge il fatto
che al momento dell’entrata in vigore della Costituzione questi popoli erano spesso vittime di
allontanamenti diretti e indiretti dalle proprie terre ancestrali.
La pericolosa tesi del marco temporal è oggi sostenuta dal presidente Jair Bolsonaro e dai massimi
esponenti di alcuni settori dell’economia, che vedono nella sua consacrazione l’occasione per
sfruttare terre oggi protette per agricoltura, centrali idroelettriche ed estrazione di minerali. Al
contrario, qualora il Tribunale supremo dovesse negarne una volta per tutte la legittimità, i popoli
indigeni vedrebbero assegnarsi un potente strumento giuridico per difendere le proprie terre.
Vista la complessità della questione e la pesante portata della decisione, positiva o negativa che
sia, il Tribunale ha deciso di sospendere a tempo indeterminato il processo, prolungando così
l’arrivo di quella risposta dalla quale dipendono le sorti di migliaia di persone. L’incertezza pesa
ancora così sui popoli indigeni del Brasile, duramente colpiti anche dal COVID19, mentre continua
la paura per le politiche di Bolsonaro, criticato per le sue posizioni anti-indigene e
antiambientaliste. Dall’inizio del suo mandato nel 2019, il Presidente brasiliano è già stato
denunciato più volte davanti alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità e
genocidio da associazioni quali la stessa APIB, in particolare per le attività di deforestazione
dell’Amazzonia e gli attacchi ai popoli indigeni, aggravati dagli ultimi anni di pandemia.