Russia. Chiusa Memorial, la ONG dei diritti umani
Russia: la Corte Suprema ha ordinato la chiusura della più prestigiosa e longeva Ong nel Paese, Memorial International, in quello che appare come l’ultimo tentativo di mettere a tacere il poco rimasto della società civile.
Accogliendo la richiesta del procuratore generale, la Corte Suprema ha riconosciuto Memorial colpevole di violazione della controversa legge sugli agenti stranieri, già usata come una scure su diverse organizzazioni non governative e media indipendenti. La Ong non ha posto correttamente sui suoi materiali la necessaria etichetta di ‘agente straniero’, espressione che in Russia rievoca l’accusa di spia, di epoca sovietica.
Durante l’ultima udienza, i pubblici ministeri hanno anche affermato che Memorial “crea una falsa immagine dell’Urss come stato terrorista e denigra la memoria della Seconda guerra mondiale”, riabilitando “i criminali nazisti”.
“Vergogna, vergogna”, è stato il grido alzatosi tra i sostenitori della Ong in aula, dopo la lettura della sentenza. Fondata alla fine degli anni ’80 a Mosca sulla scia dell’impegno, tra gli altri, anche del dissidente e Nobel per la Pace, Andrei Sacharov, Memorial si occupa di preservare la memoria delle vittime delle repressioni politiche in Urss e in Russia ed è stata il simbolo della democratizzazione post-sovietica del Paese.
Negli anni, ha creato un database delle vittime del Grande Terrore staliniano e del sistema dei gulag, ma allo stesso tempo ha sempre legato la commemorazione del passato alla lotta per i diritti umani nel presente: ha numerose filiali nella Federazione, una in Francia e in Repubblica Ceca e numerose associazioni omonime che si ispirano ai suoi valori in diversi Paesi, tra cui l’Italia, dove i suoi responsabili hanno appena chiesto un “incontro urgente” con la Farnesina per discutere il caso.
I vertici di Memorial hanno respinto le accuse, definendole “politicamente motivate” e hanno spiegato che solo un’insignificante quantità di materiale è stato pubblicato senza l’etichetta di ‘agente straniero’; il presidente della Ong, Yan Rachinsky, ha annunciato che faranno appello prima nei tribunali russi e poi, se necessario, alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Fino alla sentenza di appello, Memorial promette di continuare il suo lavoro. “Chiudendo l’organizzazione, le autorità russe calpestano la memoria di milioni di vittime perse nel gulag”, ha denunciato Marie Struthers, direttrice di Amnesty International per l’Europa orientale e l’Asia centrale. Si tratta di uno “sfacciato e tragico tentativo di reprimere la libertà di espressione e di cancellare la storia”, ha commentato l’ambasciatore Usa a Mosca, John Sullivan.
La decisione dei giudici supremi arriva al termine di un annus horribilis per i diritti umani in Russia, iniziato a gennaio con l’arresto dell’oppositore Aleksei Navalny e continuato con la repressione sistematica delle voci critiche e non allineate al Cremlino. Senza nominarla direttamente, il presidente Vladimir Putin aveva, di recente, accusato Memorial di promuovere “terrorismo ed estremismo”.
Ed è proprio l’accusa di estremismo – con cui, per esempio, sono state chiuse quest’anno tutte le organizzazioni in Russia legate a Navalny – che ora Memorial dovrà affrontare domani in un procedimenti separato e che riguarda il suo Centro per i diritti umani.
Secondo Maksim Trudolyubov, senior fellow del Kennan Institute, il caso Memorial rientra nel più ampio “conflitto” di Mosca con l’Occidente: le autorità russe, ha scritto sulla testata indipendente Meduza, “non sono tanto interessate alle attività di questa Ong in patria, quanto alla sua popolarità in Europa, principalmente in Germania, dove il tema dei crimini del totalitarismo è estremamente importante”.
“Più una figura o un’organizzazione è visibile”, ha spiegato l’analista, “più ‘pesà nella strategia del conflitto” di Mosca con Europa e Usa e in cui “organizzazioni e personaggi significativi all’interno della Russia, compreso Memorial e Navalny, si stanno trasformando in merce di scambio” con cui il Cremlino cerca di ottenere leverage non potendo contare – tranne che per le forniture di gas – su molto altro che “la minaccia della forza”.
Se Memorial viene sciolta, la voce più impegnata per i diritti umani in Russia scomparirà. La memoria delle vittime di numerosi crimini verrebbe cancellata – in modo tipicamente autocratico.
Vladimir Putin sta portando avanti un piano per far rivivere l’era di Stalin. Un’epoca di terrore di Stato durante la quale circa 20 milioni di presunti dissidenti furono internati in un sistema di campi penali, i famigerati gulag. Putin ora loda pubblicamente quest’epoca e fa sostituire le statue di Lenin con quelle di Stalin. In questa campagna, naturalmente, l’organizzazione Memorial, molto conosciuta a livello internazionale intralcia la sua strada. Memorial, come organizzazione per i diritti umani attiva in Russia e a livello internazionale, ha fatto un lavoro di rivalutazione unico: ha conservato e archiviato le memorie di circa 20 milioni di detenuti che furono
imprigionati tra il 1929 e il 1953. Ancora oggi, i dipendenti del Memorial si occupano dei familiari, ormai molto anziani, delle vittime
dei gulag. Molti di loro vivono ai margini della società.
Nella Russia di oggi, la società civile è sistematicamente criminalizzata. L’assurda legge sugli “agenti stranieri” non è l’unico strumento. Dall’inizio degli anni 2000, la Russia ha perseguito una politica di strangolamento burocratico delle ONG e dei media critici con mezzi apparentemente democratici o legali. Le organizzazioni devono rispettare ostacoli burocratici molto gonfiati e canali amministrativi
quasi impossibili. I finanziamenti interni sono stati bloccati e quelli esteri sono criminalizzati. Se le organizzazioni accettano denaro
dall’estero, sono considerate agenti stranieri e devono mettere questa etichetta anche sulle loro pubblicazioni. Inoltre, c’è un’interpretazione eccessivamente ampia della legislazione antiterrorismo, che impone arbitrariamente pene elevate.
Il modello russo di criminalizzazione graduale dello spazio pubblico è chiamato nel mondo accademico “shrinking spaces”. Molti altri stati hanno adottato queste pratiche, tra cui India, Cina, Brasile o Ecuador.