La drammatica attualità degli stupri di guerra
di Ilaria Damiani
In questi giorni si sono susseguite voci di continui stupri da parte dei soldati russi ai danni delle donne ucraine.
Su Sky News24, il 20 marzo scorso, il vicepremier ucraino, Stefanishyna Olha, ha denunciato lo stupro delle donne ucraine da parte dei soldati russi e ha aggiunto che dopo l’aggressione le donne vengono uccise e fatte a pezzi per nascondere le prove
Il vicepremier ha inoltre dichiarato che bisogna assicurarsi che gli aggressori vengano puniti e che sono state già avviate indagini per più di duemila casi di violenza da parte delle forze russe.
Il primo a denunciare questo fenomeno è stato Ihor Sapozhko, sindaco di Brovary, una cittadina non molto distante da Kiev. Il primo cittadino ha riferito che le persone che scappano dalle aree occupate raccontano casi di stupri.
Allo stato attuale pare che i presunti stupri di cui si possa fornire prova siano pochi, per quanto essi durante le guerre costituiscano un fenomeno piuttosto comune per cui, considerando i racconti che arrivano da più parti, i casi (ovviamente da provare) potrebbero essere molto più numerosi. Gli accusati sostengono invece che trattasi solo di propaganda, posta in essere per demonizzarli agli occhi della Comunità internazionale. Tuttavia, gli Organi preposti stanno indagando sui presunti crimini di guerra di cui si sarebbe macchiato l’esercito russo.
Concentrando ora l’attenzione solo sul drammatico fenomeno dello stupro in sé nella storia delle guerre, esso, nella sua natura di brutale atto delittuoso, diventa un ulteriore e spregevole strumento di terrore, attraverso il quale non si intende solo umiliare le donne in quanto tali, ledendone e offendendone la dignità, ma si brama colpirle proprio perché madri, figlie, sorelle di quel popolo che si vuole sottomettere e oltraggiare anche nei sentimenti.
Infatti, è tesi condivisa e diffusa che lo stupro di guerra sia da considerare una vera e propria arma che distrugge le persone e la nazione a cui la vittima appartiene. E la donna, suo malgrado, diviene la rappresentazione del nemico da umiliare e da distruggere.
La giornalista e femminista Susan Brownmiller si chiede se questo avviene solo perché la donna, in quel momento, rappresenta il nemico o perché, in quanto donna è nemico dell’uomo.
Se consideriamo quest’ultimo aspetto (la donna nemica dell’uomo) lo stupro diviene un modo per dominare la donna, per sottometterla, per umiliarla in quanto appartenete al genere femminile e quindi inferiore all’uomo.
Ma non è solo per questo che nei conflitti armati avvengono gli stupri. Le violenze avvengono perché, con la guerra, le regole a cui siamo abituati e che scandiscono la nostra vita vengono disapplicate e la brutalità dell’uomo emerge, alimentata da un inebriante sentimento di impunità. Lo stupro diventa un atto di conquista, un premio certo, una gratificazione personale che aiuta il soldato a continuare a combattere.
Storicamente gli stupri durante la guerra venivano considerati come un qualcosa di inevitabile, di fisiologico.
A livello internazionale la prima forma di divieto dello stupro di guerra si può trovare nel Codice Lieber del 1863. Il Codice raccoglieva circa 150 articoli di diritto consuetudinario e fu il primo tentativo di disciplinare il comportamento da tenere durante la guerra. L’articolo 37 del Codice Lieber prevedeva una protezione generica della donna durante il conflitto, mentre l’articolo 44 sanciva un categorico divieto di stupro.
Andando avanti nel tempo, con l’articolo 27 della IV Convenzione di Ginevra del 1949 relativa alla “Protezione dei civili in tempo di guerra” veniva statuito che “le donne saranno specialmente protette contro qualsiasi offesa al loro onore e, in particolare, contro lo stupro, la coercizione alla prostituzione e qualsiasi offesa al loro pudore.”
Successivamente, con la Dichiarazione di Vienna delle Nazioni Unite (1993), venne stabilito che le violazioni dei diritti umani delle donne in situazioni di conflitto armato rappresentano violazioni dei fondamentali principi del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani. Tutte le violazioni di tale tipo, incluso in particolare l’assassinio, lo stupro sistematico, la schiavitù sessuale e la gravidanza forzata, richiedono una risposta particolarmente efficace.
A livello di giurisprudenza internazionale è importante che vengano ricordate le sentenze emesse dai Tribunali Penali Internazionali per il Ruanda e per l’ex-Jugoslavia che stabilirono che le violenze sessuali commesse dai militari in tempo di guerra erano da considerarsi come crimini di guerra. In particolare, il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia considerò lo stupro come crimine contro l’umanità, mentre il Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda statuì che le violenze sessuali commesse erano da considerarsi come un atto di genocidio.
Infine, non si deve dimenticare il contributo dello Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale che considera le violenze sessuali come crimini contro l’umanità (art.7) o come crimini di guerra (art.8), a seconda dei casi.
Da questa breve, sintetica e non esaustiva panoramica internazionale si è potuto vedere come le violenze sessuali durante le guerre non siano state più considerate, nel corso del tempo, come meramente fisiologiche, ma come crimini lesivi della dignità umana, da perseguire e condannare.
Tuttavia, fin quando (è banale dirlo) esisteranno le guerre, fin quando la tutela dei diritti umani non entrerà nel DNA delle persone e fino a che la donna continuerà ad essere inconsciamente (e consciamente) considerata come inferiore rispetto al maschio e come una proprietà, continueranno ad esserci odiosi casi di violenza.