“Art(E)Attualità”. Antonio Ligabue a Monza
di Alessandra Montesanto
Enigmatica la vita e l’Arte dell’artista Antonio Ligabue: nato in Svizzera, ma dato poi in adozione, muta il proprio cognome (materno, Laccabue) in Ligabue. Un’infanzia travagliata, quella dell’artista, a causa delle difficili condizioni economiche della coppia che lo aveva in affido e a causa delle malattie di cui era affetto, il gozzo e il rachitismo, condizioni che compromisero lo sviluppo fisico e psichico della persona. Dopo aver aggredito la madre adottiva, viene espulso dalla Svizzera e ospitato in Italia, a Gualtieri, dove conduce una vita da nomade, lavorando saltuariamente come bracciante o manovale. Solo nel 1928, grazie all’incontro con Renato Marino Mazzacurati che ne comprese il talento artistico, decise di dedicarsi totalmente alla pittura e alla scultura, le uniche sue possibilità di mitigare le ossessioni e la solitudine profonda.
Ripercorriamo una parte delle opere di Antonio Ligabue in una esposizione allestita presso: Villa reale di Monza: “Antonio Ligabue. L’uomo, l’artista” visitabile fino al 1 maggio 2022
La sua ansia di libertà è nelle penne del volatile, la sua rabbia (e il suo dolore) nella lotta delle fiere. Se crediamo che l’Arte sia comunicazione, l’Arte di Ligabue è proprio questo: comunica le angosce, più o meno consapevoli, di ogni essere umano tramite uno stile “zavattiniano”, popolare, che può essere ricondotto al Primitivismo in pittura, al Realismo in Letteratura e al Neorealismo in Cinematografia.
La rappresentazione della realtà è filtrata dalle necessità interiori dell’artista, la gioia improvvisa come il tormento, così come i suoi numerosi autoritratti che vogliono indagare l’anima, ma l’anima di un estraneo, di chi non si riconosce nemmeno nel proprio volto.
Sembra quasi di sentire gli odori di ciò che ritrae: dell’erba appena tagliata, della terra bagnata dalla pioggia, del sangue versato dagli animali, dei campi arati; oppure di sentirne i rumori: del fulmine che squarcia il cielo, della bestia che ruggisce, di quella che si lamenta prima di morire…Un uomo immerso, in maniera totalizzante, nella Natura che lo circonda, una sineddoche: una parte (Ligabue) per il tutto (il cosmo).
Figure, colori, movimento: è proprio l’incanto del Tutto che vuole raffigurare, quella meraviglia che lui stesso ha provato, esaltato dalla follia che accompagna i suoi giorni e il suo sguardo; quella follia che lo induce a farsi animale, nella postura e nei versi emessi dalla bocca, e ritorna il senso di una comunicazione non verbale, non necessariamente razionale, ma istintuale, priva delle sovrastrutture della cultura e della civiltà. Un “Ragazzo selvaggio”, per recuperare di nuovo un riferimento filmico, un “Candide” per citare Voltaire: questo è stato Ligabue, un folle che ha amato, più di chiunque altro, gli esseri fragili come lui e gli esseri potenti come avrebbe forse voluto essere, cogliendo con grande lucidità lo squilibrio ontologico nel vivente, tra deboli e forti, nell’eterna lotta per la sopravvivenza, e cogliendo in maniera espressiva grazie all’impasto cromatico che rende sulle tele, quanto il Potere sia il motore di ogni azione, ragionata e non.
La scultura è parte integrante della sua produzione artistica: il 16 maggio del 1941 Ligabue può uscire dall’ospedale psichiatrico in cui era stato internato e sono gli anni della seconda Guerra mondiale: i due eventi sono tra loro correlati in quanto la violenza del conflitto e quella nel manicomio riportano alla sua mente il ricordo del patrigno bavarese, spesso ubriaco che lo picchiava con la cinghia. Il ricordo viene utilizzato dall’artista in maniera eidetica, ovvero l’immagine prende vita PRIMA nella mente dell’autore dell’opera e successivamente nell’opera stessa. Ecco, così nascono i dipinti e le sculture di Ligabue: in particolare in queste ultime Ligabue dalla pittura passa a dare forma plastica ai suoi soggetti, realizzati in terracotta con dovizia di particolare e precisione maniacale (oggetti che successivamente furono fatti cuocere in fornace per fermarli nelle forme di bronzo e conferire loro eternità); le sculture sono prova ulteriore del genio artistico di un uomo profondamente malato ed emarginato che, nonostante questo, ha saputo sprigionare una grande creatività, una enorme energia grafica e manuale e una sapienza rara nello stare nel e per il mondo naturale. Un invito, quello di Ligabue, che dovremmo rifare nostro.
Per chi non lo avesse già visto, consigliamo la visione del film intitolato “ Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti, proprio sulla figura dell’artista.