“Stay human. Africa”. Il massacro di Sharpeville
Di Ilaria Damiani
Il 21 marzo è ricorso l’anniversario del massacro di Sharpeville.
In quel giorno, dell’anno 1960, durante una manifestazione pacifica contro la politica dell’Apartheid, organizzata dal Pan Africanist Congress (PAC) a Sharpeville in Sudafrica, a sud di Johannesburg, la polizia sparò sulla folla dei dimostranti, uccidendo 69 persone.
L’Apartheid, formalmente abolito nel 1991, era di fatto presente in Sud Africa ancor prima del 1948, anno in cui fu ufficialmente istituito dal governo di etnia bianca (Partito Nazionale), per “favorire lo sviluppo ottimale” dei vari gruppi etnici (ideologia dello sviluppo separato), ma in realtà per agevolare il mantenimento del potere della minoranza bianca, attraverso un’intollerabile politica si segregazione e discriminazione razziale.
Antefatto
La manifestazione venne organizzata dal PAC per protestare contro l’“Urban Areas Act”, emanato dal Governo. Si trattava di un decreto conosciuto anche come Pass Law, “Legge del Lasciapassare”. Esso stabiliva che soltanto i cittadini neri provvisti del pass potessero andare nelle aree riservate alle persone bianche. Questo permesso sostanzialmente era un passaporto interno che i cittadini di colore dovevano esibire se fermati dalle forze dell’ordine. Conteneva informazioni quali nome e cognome della persona, impronte digitali, fotografia, generalità del datore di lavoro (che poteva essere solo un bianco), la data dalla quale il lavoratore risultava impiegato e una relazione sul suo comportamento.
Il lasciapassare, soprannominato dalle persone di colore “dompass” (“dom”, derivante dall’ inglese “dumb” – stupido – evidenziando il profondo disprezzo che essi nutrivano per il decreto governativo che l’aveva istituito), veniva dunque rilasciato solo a coloro che disponevano del permesso di lavorare nella zona dei bianchi.
Il massacro
La mattina del 21 marzo 1960 più di 5.000 persone (altre fonti stimano una folla di circa 10.000 individui) si radunarono pacificamente presso la stazione di polizia di Sharpeville per protestare e chiedere di essere arrestate perché sprovviste di lasciapassare.
Il PAC chiese che gli uomini africani di ogni città e villaggio lasciassero i propri pass a casa, li invitò ad unirsi alla manifestazione e, in caso di arresto, di non pagare nessuna cauzione, nessuna difesa e nessuna multa. Il PAC sosteneva che se durante le proteste fossero state arrestate un migliaio di persone, le carceri si sarebbero riempite e l’economia si sarebbe fermata. Lo slogan, infatti, era: “NO BAIL! NO DEFENCE! NO FINE!”
Secondo la versione della polizia, i manifestanti avevano preso a lanciare pietre contro di loro e quindi, in preda al panico, essi avevano risposto sparando, al fine di disperdere la folla.
Moti testimoni oculari sostennero che la ricostruzione della polizia era falsa, volta unicamente a giustificare il ricorso alle armi, non essendo stato dato nessuno avviso ai manifestanti per disperdersi e mettersi in salvo. Successive prove dimostrarono che diverse persone vennero colpite alla schiena, mentre cercavano di scappare.
Il bilancio fu di 69 vittime (tra cui 8 donne e 10 bambini) e 180 feriti.
Legge marziale
A seguito della manifestazione del 21 aprile, in tutto il Sud Africa venne dichiarato lo stato di emergenza e applicata la legge marziale: vennero arrestate più di undicimila persone e le organizzazioni come il PAC vennero dichiarate fuorilegge.
Reazione internazionale
A livello internazionale il Sud Africa si trovò isolato, venendo aspramente condannato per il massacro. La Gran Bretagna estromise il Paese dal Commonwealth. Il primo aprile del 1960, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 134. Tramite questa, le Nazioni Unite espressero solidarietà alle famiglie delle vittime, associandosi al loro dolore, condannando le azioni della polizia di Sharpeville e invitando il Governo sudafricano ad adottare misure che realizzassero “un’armonia razziale basata sull’uguaglianza, abbandonando definitivamente l’Apartheid.”
Successivi sviluppi
Dal 1994, in Sud Africa, il 21 marzo si commemora la “Giornata dei Diritti Umani in Sud Africa”.
Il 10 dicembre 1996, Nelson Mandela firmò la nuova Costituzione multirazziale del Sud Africa a Sharpeville.
Nel 1998, il TCR (“Truth and “Reconciliation Commission”, commissione nata con lo scopo di indagare sui crimini commessi durante l’Apartheid) censurò le azioni della polizia del 21 marzo 1960, sostenendo che erano state perpetrate gravi violazioni dei diritti umani e che era stata inutilmente utilizzata una forza eccessiva per fermare un raduno di persone disarmate.
Nel 2005, l’Onu dichiarò il 21 marzo “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale”. Dopo il massacro di Sharpeville niente fu come prima. Esso segnò una netta linea di demarcazione nella storia del Sud Africa, che ebbe come conseguenza, come si è visto, l’isolamento internazionale del governo del Partito Nazionale, la comminazione di una serie di sanzioni internazionali e favorì allo stesso tempo, verso la fine del secolo, il progressivo superamento dell’Apartheid e l’elezione a presidente di Nelson Mandela, che aveva scontato ben 27 anni di carcere per l’attivismo antisegregazionista.
Vicenda molto triste, ma dall’evoluzione commovente per il riconoscimento dei diritti sociali, politici e civili ai sudafricani non bianchi, per aver riscattato tante lacrime e ripagato tanti dolori. Questa, tuttavia, è solo una delle tempeste della Storia, che si aggiunge a tante altre, devastanti e, disgraziatamente, anche contemporanee, su cui l’umanità dovrebbe costantemente meditare, affinché nessun uomo sia mai più sopraffatto dai suoi simili e nessun Popolo subisca la sottomissione, la tirannia, il genocidio.
Oggi viviamo una situazione per molti versi analoga in Israele. I Palestinesi vengono discriminati, vessati, sottoposti ad innumerevoli umiliazioni!