L’organizzazione Internazionale del Lavoro e il lavoro minorile: dalla fondazione ai giorni nostri
(da unipd-centrodirittiumani.it)
Ludovica Aricò ha concluso il corso di laurea magistrale “Human Rights and Multi-level Governance” presso l’Università di Padova. Attualmente è iscritta ad un Master di secondo livello in “Esperti in Politica e Relazioni Internazionali” a Roma. Questo articolo è un estratto della tesi di laurea discussa ad ottobre 2021 sotto la supervisione del prof. Lorenzo Mechi.
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L’articolo mira ad illustrare la missione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nella lotta contro il lavoro minorile, e a sottolineare i punti di forza e di debolezza del suo approccio. Per raggiungere questo obiettivo, l’elaborato esaminerà la storia dell’OIL nell’affrontare il lavoro minorile dalla sua fondazione ai giorni nostri. L’analisi si concentrerà su tre diversi periodi storici: dal 1919 al 1949; dagli anni ’70 alla fine degli anni ’90; dal 2020 ai giorni nostri. In conclusione, si forniranno delle conclusioni sull’efficacia del lavoro dell’Organizzazione in linea con le presenti osservazioni.
INTRODUZIONE: IL LAVORO MINORILE NEL PANORMA INTERNAZIONALE
Il lavoro minorile, definito dall’OIL come “il lavoro che priva i bambini della loro infanzia, del loro potenziale e della loro dignità, e che è dannoso per lo sviluppo fisico e mentale”, è presente nella comunità internazionale fin dalla rivoluzione industriale. A causa della sua intensità, i governi hanno sempre cercato di prevenire e monitorare il lavoro minorile sia a livello nazionale che internazionale. In ogni modo, solo con la fondazione dell’OIL nel 1919 si raggiunge un importante punto di svolta nell’interesse degli Stati nell’adozione di norme internazionali comuni per prevenire e proteggere i diritti dei lavoratori, compresi i bambini e le bambine. Infatti, dal 1919, l’OIL è un attore chiave nell’affrontare il lavoro minorile, garantendo un’arena pacifica in cui datori di lavoro, governi e sindacati possono lavorare insieme per proteggere i diritti dei lavoratori. Oggi, l’OIL è la principale organizzazione internazionale impegnata nell’eliminazione del lavoro minorile, grazie anche alla produzione di numerosi strumenti giuridicamente vincolanti ed operativi per regolamentare l’età minima al lavoro ed eliminare il lavoro minorile nel globo. L’alto numero di ratifiche e la consistente partecipazione degli Stati Membri a operazioni ad hoc negli ultimi decenni sono risultati fondamentali nella lotta contro il lavoro minorile.
(Source: ILO and UNICEF: Child Labour: Global estimates 2020, trends and the road forward (New York, 2021)
Tuttavia, la comunità internazionale non sta ottenendo risultati altrettanto importanti da un punto di vista pratico. Di fatti, come affermato nel report dell’OIL ed UNICEF sul lavoro minorile nel 2020, più di 160 milioni di bambini e bambine (tra i cinque e i diciassette anni) sono attualmente impiegati nelle peggiori forme di lavoro minorile. Le statistiche dimostrano che, nonostante i numerosi strumenti creati, l’OIL non è riuscita nel suo tentativo di sradicare completamente il fenomeno o, almeno, di ridurne l’intensità entro il 2030. La missione dell’OIL è stata virtuosa nel creare una cooperazione internazionale e nel sensibilizzare le nazioni, ma relativamente inefficace nel raggiungere i risultati attesi. Innegabilmente, l’attuale quadro giuridico internazionale attuale ha delle debolezze che minano la capacità dell’organizzazione di raggiungere il suo obiettivo di sradicare il lavoro minorile a livello globale.
Gli aspetti negativi e positivi dell’attuale approccio possono essere rintracciati nella storia stessa dell’Organizzazione. Invero, monitorando l’evoluzione dell’azione dell’OIL contro il lavoro minorile, è possibile evidenziare come alcuni elementi positivi e negativi, specifici di un particolare periodo storico, abbiano lasciato un forte strascico nella capacità di azione dell’OIL, influenzando fortemente la sua missione.
I PRIMI PASSI DELL’ORGANIZZAZIONE
Dal 1919 al 1948, l’OIL ha prodotto ben sette convenzioni sia per stabilire una comune età minima di accesso al lavoro, che per regolare i turni di notte dei bambini. Gli obblighi internazionali formati rappresentarono un grande successo per l’OIL e per la lotta universale contro il lavoro minorile. Nonostante le difficoltà economiche poste dalla Prima Guerra Mondiale, dagli effetti della Grande Depressione e la conseguente disoccupazione di massa; l’Organizzazione non perse l’occasione di produrre Convenzioni legalmente vincolanti che fossero in grado di rafforzare l’esistente sistema giuridico internazionale anti-lavoro-minorile.
Il quadro stabilito creò elementi giuridici che sono ancora oggi fondamentali per la missione generale dell’OIL. In primo luogo, dall’analisi di queste Convenzioni si può evincere la misura in cui il lavoro minorile possa essere una seria minaccia alla salute, allo sviluppo umano e alla moralità dei giovani. In secondo luogo, le delegazioni, specialmente quelle dei sindacati, spinsero fortemente per imporre la frequenza scolastica tra i più giovani. Si suppose che tale obbligo potesse ridurre considerevolmente l’alto tasso di bambini impiegati in vari settori. In terzo luogo, venne imposto per la prima volta nella storia che la protezione dei bambini sul posto di lavoro dovesse essere inserita nel più complesso universo dei diritti umani.
Nonostante queste importanti basi legali, alcuni gravi problemi furono subito evidenti nelle Convenzioni. I settori più pericolosi per l’incolumità dei bambini non vennero regolamentati, ovvero le imprese familiari e l’agricoltura. L’ostacolo principale fu rappresentato da un comune malinteso sulla natura stessa del lavoro minorile. Infatti, svariate delegazioni nazionali sostenevano nei vari incontri della Conferenza Generale dell’OIL che il lavoro in un’industria familiare o all’aria aperta non potesse essere pericoloso per la salute dei bambini. Questa idea generale influenzò negativamente il risultato finale, generando un sistema di protezione nocivamente incompleto. Inoltre, l’organizzazione concesse enormi margini di discrezionalità ai governi nazionali, sia dal punto di vista legale che pratico. A dimostrazione di ciò, l’OIL non fu in grado in quegli anni di produrre elementi universalmente accettati. Le grandi mancanze furono: una definizione giuridica universale del lavoro minorile e un’età minima comune di accesso al lavoro. Questi difetti contribuirono a creare una grande lacuna nel diritto internazionale, con forti ripercussioni a livello nazionale. In aggiunta, la mancanza di un programma operativo internazionale per sostenere tecnicamente gli Stati nell’implementazione degli standard internazionali rese il quadro ancora più precario ed instabile.
I GRANDI TRAGUARDI INTERNAZIONALI NELLA LOTTA AL LAVORO MINORILE
(Source: Universal ratification of ILO Convention No. 182 on the Worst Forms of Child Labour, ILO)
Dagli anni ’70 alla fine degli anni ’90, l’OIL riuscì a fare grandi miglioramenti, superando i principali ostacoli creati nei decenni precedenti, principalmente causati dell’opposizione di alcuni governi nazionali. Ad oggi, gli strumenti prodotti in questa fase rappresentano le pietre miliari del quadro internazionale contro il lavoro minorile. Questi sono: la Convenzione sull’età minima del 1973, la Convenzione sulle peggiori forme di lavoro minorile del 1999 e il Programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile (IPEC). È importante sottolineare le novità presenti in ogni strumento per potere comprendere quanto forte sia stato il lavoro di dialogo e mediazione portato avanti dall’OIL.
La Convenzione sull’età minima del 1973 (n.138) dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro fissa la soglia dell’età minima universale a quindici anni, concedendo agli Stati di fissare un’età minima inferiore ai quattordici anni con la promessa di rispettare l’obbligo dei quindici anni il più presto possibile.
Essa afferma che:
L’età minima […] non deve essere inferiore a all’età del completamento della scuola dell’obbligo e, in ogni caso, non può essere inferiore a 15 anni. […]
Un membro la cui economia e le cui strutture educative non sono sufficientemente sviluppate può inizialmente prevedere un’età minima di 14 anni.
Inoltre, viene dato alla scuola un ruolo centrale, presentandolo come strumento principale per ridurre efficacemente il numero totale di bambini lavoratori. Nonostante le tensioni della guerra fredda, il documento fu ampiamente ratificato dagli Stati, dimostrando un nuovo e crescente interesse della comunità internazionale per la difesa dei diritti dei bambini.
La Convenzione sulle peggiori forme di lavoro minorile del 1999 (n.182) dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro fornisce una definizione universalmente accettata del lavoro minorile, dopo ben ottant’anni dalla fondazione dell’OIL.
Gli stati membri hanno concordato che:
L‘espressione <> comprende:
(a) tutte le forme di schiavitù o pratiche simili alla schiavitù, come la vendita e il traffico di bambini, la servitù per debiti e la servitù della gleba e il lavoro forzato o obbligatorio, compreso il reclutamento forzato o obbligatorio di bambini da utilizzare nei conflitti armati.
(b) l’uso, il procurare o l’offrire un bambino per la prostituzione, per la produzione di pornografia o per spettacoli pornografici.
(c) l’uso, il procurare o l’offrire un minore per attività illecite, in particolare per la produzione e il traffico di droga come definito nei trattati internazionali pertinenti.
(d) il lavoro che, per sua natura o per le circostanze in cui viene svolto, possa nuocere alla salute, alla sicurezza o alla morale dei bambini.
La definizione cerca di riferirsi a tutte quelle circostanze che, per la loro essenza, possono essere mentalmente, fisicamente, socialmente o moralmente pericolose e dannose per i bambini. Tale definizione include fondamentalmente tutte quelle pratiche in cui i bambini lavorano contro la loro volontà o sono costretti a lavorare sotto ricatto. Tra i vari esempi riportati nella Convenzione, importanti da menzionare sono: la schiavitù, la prostituzione, il lavoro per attività illecite. Questi, come altri elencati nel testo originale, sono lavori da cui i bambini non possono facilmente scappare e danneggiano seriamente il loro sviluppo fisico e psicologico. Inoltre, nel tentativo di proteggere efficacemente la vita dei bambini, la Convenzione fornisce agli stati membri linee guida rilevanti su come costruire i quadri nazionali, pur lasciando un ampio margine di discrezionalità. Questa flessibile rigidità ha garantito un consenso universale e un alto numero di ratifiche.
Il Programma internazionale sull’eliminazione del lavoro minorile (IPEC), lanciato nel 1992, ha assicurato il rafforzamento dell’azione legale dell’OIL sulla riduzione del lavoro minorile. È il primo programma operativo dell’OIL per combattere il lavoro minorile attraverso la cooperazione internazionale. Questa campagna permanente fu creata con lo scopo di: raccogliere dati; monitorare le tendenze; informare gli Stati membri, l’Organizzazione e la società civile; e intraprendere azioni appropriate contro le ingiustizie. Il programma ha permesso all’Organizzazione di intraprendere un’azione più decisa e di lanciare intense missioni internazionali. Le sue missioni sono state essenziali per ridurre il lavoro minorile nella nuova comunità globalizzata.
IL LAVORO MINORILE DURANTE IL COVID
La pandemia Covid-19 nel 2020 ha seriamente minato la missione dell’OIL per combattere il lavoro minorile. Durante la pandemia, con le economie nazionali sono diventate vittime degli eventi, causando enormi effetti negativi sulla popolazione. Inevitabilmente, la nuova minaccia globale ha gravemente danneggiato gli Stati, in cui la protezione dei diritti umani è stata per lo più fallimentare. L’instabilità economica, causata da una pandemia, ha imposto allo Stato di affrontare nuove sfide. La disoccupazione di massa, il declino del PIL nazionale, la riduzione delle rimesse dei migranti e l’aumento delle economie informali hanno seriamente colpito la qualità della vita delle persone, aumentando la fame e il numero delle persone vulnerabili. Tali condizioni hanno condotto ad un serio aumento del numero di bambini impiegati nelle peggiori forme di lavoro minorile.
I rapporti dell’OIL prima del Covid-19 stimavano che, entro il 2020, il numero di bambini impiegati nelle peggiori forme di lavoro minorile sarebbe stato pari a 137 milioni. Purtroppo, l’obiettivo non è stato raggiunto dall’Organizzazione, anzi sembra essere molto lontano dalla realtà. Infatti, l’insicurezza generale ha portato ad un grave aumento dei bambini impiegati nei lavori più pericolosi, soprattutto nelle zone geopolitiche più fragili economicamente.
Questa tendenza può essere rintracciata nell’incapacità dell’Organizzazione di assicurare una costante implementazione nazionale degli standard contro il lavoro minorile, mentre affronta nuove minacce alle performance economiche. Tuttavia, l’OIL ha pianificato azioni nazionali a diversi livelli per contrastare la crisi attuale, in collaborazione con un nuovo programma per affrontare il lavoro minorile: l’Alleanza 8.7. L’obiettivo principale fissato è quello di identificare le cause principali delle tendenze attuali, elaborare risposte efficaci, così da poter intraprendere azioni concrete per contrastare il lavoro minorile. Il lancio dell’Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile nel 2021 è stata una delle azioni più rilevanti dell’OIL per diffondere la consapevolezza e ricreare una solida cooperazione internazionale.
CONCLUSIONI
Questo articolo ha cercato di presentare, attraverso un’analisi storica del lavoro dell’OIL, i vari punti di forza e di debolezza dell’attuale missione dell’OIL contro il lavoro minorile.
In seguito all’analisi di tre diversi periodi storici, dal 1919 al 1948, dal 1970 al 1990, e dal 2020 ai giorni nostri, sono emerse importanti considerazioni.
In primo luogo, l’esame ha dimostrato che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha costruito un notevole quadro giuridico internazionale, obbligando gli stati a dialogare in merito al lavoro minorile e fissare comuni standard universali da rispettare. La capacità dell’Organizzazione di coinvolgere Stati, sindacati e datori di lavoro ha generato una buona serie di armi contro il lavoro minorile, come le Convenzioni OIL del 1973 e del 1999, e il lancio del programma IPEC dagli anni ‘90. Il quadro giuridico creato ha garantito l’eliminazione del lavoro minorile in molte aree del mondo e, inoltre, una significativa riduzione in specifiche aree geopolitiche critiche.
In secondo luogo, l’analisi ha dimostrato che l’Organizzazione presenta alcuni difetti strutturali che potrebbero minare l’efficacia della sua missione sul lungo raggio. Di fatti, l’OIL ha creato un quadro giuridico gravemente precario, a causa della mancanza di una seria regolamentazione sul lavoro minorile nei settori agricoli e familiari. Questa mancanza di legislazione è una questione di grande urgenza per l’Organizzazione dato che il 70% del tasso globale di bambini (tra i cinque e i diciassette anni) lavora attualmente in agricoltura. Inoltre, la flessibile rigidità, che ha effettivamente garantito una partecipazione universale, ha però contribuito alla creazione di un sistema che non è in grado di affrontare concretamente il lavoro minorile. Infine, la pandemia Covid-19 ha portato alla luce le difficoltà dell’Organizzazione ad assicurare l’implementazione nazionale sul lavoro minorile, mentre gestisce nuove imprevedibili emergenze. Di conseguenza, il lavoro minorile è aumentato drammaticamente, facendo retrocedere i risultati positivi del periodo pre-Covid.
In conclusione, è possibile affermare che le carenze legislative ed operative dell’OIL devono essere affrontate per ridurre gli alti tassi di lavoro minorile nel mondo, cercando di rafforzare gli aspetti positivi e migliorare quelli negativi. L’Organizzazione deve adattarsi, come ha fatto in passato, alle nuove circostanze internazionali e progettare nuove tattiche contro il lavoro minorile per realizzare i migliori interessi del bambino.