“Raccontarsi (a modo mio)”. Patrizia
a cura di Jorida Dervishi
Mi chiamo Patrizia Cannas, ho 28 anni, sono un architetto e attualmente svolgo un Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica e Urbana presso l’Università degli Studi di Trieste. Mi laureo nel 2019 con una tesi che indaga il tema dell’architettura in carcere, con un focus sulla progettazione a sostegno del benessere fisico e psicologico
dell’individuo che abita in un contesto di detenzione. In questa occasione sviluppo due progetti diversi – ma affini – per la Casa Circondariale di Trieste, un’esperienza che mi ha dato l’opportunità di lavorare con emergenze reali e di relazionarmi con istituzioni diverse dal mio campo lavorativo. Dopo aver conseguito la Laurea Magistrale e l’abilitazione professionale nel 2019, per un anno collaboro affianco ad altri professionisti in progetti che spaziano dall’interior design alla progettazione architettonica, dal progetto del paesaggio alla grafica e all’illustrazione. Dopo questa esperienza, decido di avvicinarmi al mondo della ricerca – anche per riprendere gli studi iniziati durante la tesi – e nel 2020 vinco il concorso per il dottorato a Trieste, entrando in graduatoria con borsa di studio MIUR. Da quel momento, l’attività di ricerca diventa la mia principale occupazione ed inizio ad interfacciarmi con la scrittura, la partecipazione come autrice/uditore ai convegni, le pubblicazioni e l’affiancamento alla didattica in Università. Durante il periodo di
pandemia, inizio a svolgere attività di volontariato sia nel sociale, a sostegno dei senza dimora, sia nel sanitario come soccorritore. L’attività di ricerca, assieme a quella del volontariato, mi hanno portata a voler sempre più utilizzare gli strumenti professionali – e
personali – acquisiti nel corso del tempo per cercare di portare un contributo costruttivo in quei campi che guardano alle disuguaglianze sociali, al diritto dell’abitare e ad un’architettura che sia “al servizio” di tutti e che metta al centro delle sue opere il benessere della persona.
Di cosa mi occupo
La mia ricerca si colloca nel tema delle istituzioni totali ed indaga i punti in comune tra gli studi sull’architettura dell’abitare nello spazio della detenzione e sulle ricerche, provenienti anche dall’ambito internazionale, che affrontano il tema dei luoghi di ospitalità e di controllo dei migranti. Il motivo per cui assumo il carcere come ulteriore nodo della ricerca è che esso rappresenta il luogo limite ed emblema delle contraddizioni di un’architettura che, mentre si fa esecutrice della pena, dovrebbe supportare il principio di reinserimento nella collettività, in linea con l’Art. 27 della Costituzione Italiana. In questo contesto, vorrei indagare i meccanismi spaziali che portano l’architettura a contribuire nel dare un carattere di esclusione anche a quei luoghi che, trasformati i modelli classici delle
istituzioni totali, presentano un carattere segregante pur non essendo detentivi. La volontà è di ripensare gli schemi e i modelli che rendono ostili tali luoghi, con l’intento di contribuire alla costituzione di una base d’indagine per sviluppare nuovi modelli teorici ed operativi per il miglioramento dei luoghi dell’abitare in questi contesti. La prima esperienza di ricerca nel carcere di Trieste ha portato alla riprogettazione di alcuni spazi, sia interni che esterni, che hanno dato prova, seppur modesta, di come l’architettura possa essere di supporto sia per i detenuti che per gli operatori. Questa occasione ha portato alla stipula di una convenzione di collaborazione scientifica tra la Casa Circondariale e l’Università di Trieste, facendo così rientrare il carcere tra i casi studio. Un altro campo d’indagine riguarda il caso studio goriziano che tratta il rapporto tra i C.A.R.A. e le jungle (insediamenti autocostruiti dai migranti in zone boschive) attraverso il metodo dell’osservazione partecipata, utile per comparare le forme architettoniche imposte e quelle spontanee. Cerco sempre di dialogare con diverse discipline, tra cui l’antropologia, sociologia, la geografia umana ma anche con i media studies (cinema, fotografia e comics) che raccontano questi temi. Avendo tra gli obiettivi l’elaborazione di strumenti critici ed operativi sui luoghi di esclusione e di rifugio, per far emergere quanto di carcerario ci sia nei centri di ospitalità e quanto di spontaneo, ed in qualche modo “libero”, si possa coltivare in carcere, i potenziali sviluppi di questa ricerca potrebbero collocarsi in due ambiti: da un lato, l’abitare gli spazi carcerari e la loro connessione con la città (orientando il progetto con la direzione che PNRR auspica per i luoghi di esclusione sociale), dall’altro, la questione abitativa rispetto alla cosiddetta “crisi dei migranti” guardando alla progettazione europea transfrontaliera . A prescindere dagli sviluppi futuri che questo lavoro potrà portare, spero di poter contribuire in maniera propositiva alla contemporaneità, anche attraverso progetti che non debbano per forza essere imponenti nella loro “misura” ma che possano, con la loro presenza, anche di modesta entità, cambiare alcune realtà. Quando mi viene chiesto perché ho deciso di occuparmi nello specifico di carceri o, in generale, di luoghi di esclusione, rispondo sempre provando a riportare un dato di realtà: se considerassimo il carcere in Italia per il suoi numeri, con una popolazione di circa 60 mila abitanti (tra detenuti ed operatori), potrebbe essere paragonato alla grandezza di una piccola città. Inoltre, tenendo conto di quanto l’architettura possa influenzare sia positivamente che negativamente un contesto, e tenendo presente l’obiettivo finale della reintegrazione (casi permettendo) e riabilitazione, occuparsi di detenzione ha lo stesso valore di qualsiasi altra istituzione presente sul territorio. La possibilità di lavorare su emergenze esistenti, tessere nuove relazioni e trovare punti in comune con altre realtà sono le motivazioni che mi portano a considerare la ricerca un’opportunità perché rappresenta l’occasione di lavorare su tematiche in cui credo.
Il progetto “Raccontarsi (a modo mio)” verrà presentato a Milano, presso la Casa dei Diritti, il 9 ottobre alle ore 16. Non mancate!