“Raccontarsi (a modo mio)”. Nubia
A cura di Jorida Dervishi
Inizio da lontano. Arrivai in Italia dall’Ecuador nel 2003: una scelta difficile, visto che di là avevo un figlio di tre anni e mezzo e un’attività che per vari motivi andò in fallimento. Per tale fallimento avevo accumulato un debito di quasi 15.000 euro, sostenuto da una ipoteca della fattoria di mia mamma. A un certo punto mi trovai di fronte a un bivio: decidere se perdere la proprietà o venire in Italia, dov’erano da qualche anno i miei due fratelli, e provare a pagare.
Fu una scelta sofferta: da una parte non volevo separarmi da mio figlio, ma dall’altra parte non volevo che mia madre perdesse la fattoria per le mie decisioni sbagliate, così scelsi di partire con il cuore a pezzi, sconfitta nell’anima e con un senso di fallimento addosso indescrivibile.
Una volta in Italia, non sapendo neanche l’italiano tranne due o tre parole, cominciai a lavorare con una signora facoltosa, che abitava da sola nel centro di Milano e che aveva bisogno di un supporto dopo una caduta in casa. Il figlio, disperato, cercava una ragazza affidabile che accompagnasse la madre di notte, così si era rivolto a mio fratello, che godeva della stima di questa signora. Mio fratello, sapendo che ero arrivata da poco e conoscendo la mia urgenza di guadagnar, suggerì me, dicendo anzitutto che ero disponibile ma che non parlavo bene l’italiano. Il figlio, fidandosi di mio fratello, accettò. Il giorno dopo mi presentai al domicilio della signora, intimidita e spaventata, consapevole di non parlare l’italiano e di non aver mai fatto quel tipo di lavoro. Ragionando, mi dissi in fin dei conti che avrei dovuto soltanto accompagnarla di notte, non ero pagata male e poi i soldi mi servivano per pagare i miei debiti in Ecuador.
Così conobbi la signora L.C., una piccola donna di ottant’anni, fragile e con gli occhi di ghiaccio, che mi guardava della testa ai piedi. Sicuramente le piacqui, perché diede l’ok al figlio, nonostante non riuscisse a comunicare.
Ero felicissima di cominciare questa esperienza, dopo qualche mese, la lontananza con mio figlio si faceva sentire in maniera pesante, provocando in me tanta angoscia: qualche volta piangevo senza che lei capisse perché.
Con il suo aiuto il mio italiano migliorava di giorno in giorno e riuscivo a esprimermi sempre meglio. All’ennesima richiesta del perché della mia tristezza, mi confidai con lei, raccontando la mia storia, nonostante conoscesse la sua fama di donna molto fredda.
Rimasi senza parole quando lei, dopo aver ascoltato tutto il mio racconto, chiamò il figlio mettendolo al corrente della mia storia e della sua decisione di aiutarmi con un prestito bancario. Evidentemente, per loro la cifra non era così ingente come per me, considerando che in Ecuador uno stipendio medio si aggira intorno ai 200 euro al mese.
Dopo qualche giorno l’accompagnai in banca. Lei chiese un colloquio con il capoagenzia, che venne con grande sollecitudine invitandola ad accomodarsi in ufficio. Io rimasi fuori pregando dentro di me che accettasse la richiesta di lei. Dalla porta lasciata semichiusa assistetti alla loro conversazione: il mio italiano non era perfetto, però già capivo abbastanza bene la lingua.
La signora gli disse che voleva aiutarmi, lui fece invece di tutto per convincerla a non farlo, dicendole che c’erano stati molti altri suoi clienti rimasti truffati dai badanti che si facevano prestare dei soldi e poi sparivano. Lui aveva paura che sarebbe successo la stessa cosa anche a lei.
Capivo il suo discorso e capivo pure la sua paura che io fossi fra quelle persone, in fin dei conti lui non mi conosceva.
Apprezzai tanto l’enorme fiducia che la signora aveva in me, perché ai dubbi posti dal capoagenzia, lei rispose che se non avesse accettato la sua richiesta si sarebbe semplicemente rivolta a un’altra banca.
Lui vide nella signora una forte determinazione, per cui fu praticamente costretto ad accettare la richiesta, concedendomi il finanziamento che pagai alla banca in due anni.
Due giorni dopo, il prestito fu approvato e inviato direttamente in Ecuador a mia madre, la quale poté finalmente sanare la situazione della fattoria e almeno stare più tranquilla.
Rimasi con la signora L.C. anche dopo i due anni. Purtroppo, dopo quasi un anno, il figlio morì di infarto; a quel punto la nuora decise di ricoverarla in una casa di riposo, dove morì dopo due anni circa. La andai a trovare fino alla fine dei sui giorni; prima mi riconosceva, poi pian piano la sua memoria iniziava ad abbandonarla, fino a non riconoscermi più.
A distanza di anni ricordo il suo volto e la sue parole: ‘Ricordati, che nel momento del bisogno capirai chi ti vuole bene’… In effetti lei mi ha voluto bene.
Lei, senza saperlo, mi ha insegnato una grande lezione: l’importanza di essere corretti a prescindere dagli altri. Le buone azioni prima o poi tornano indietro e io ne sono la prova. Nel mio percorso di vita tengo ben presente le sue parole.
Nel frattempo mi sono sposata con una persona meravigliosa, sono riuscita a portare mio figlio con me, ho avuto un seconda figlia e posso dire di essere una persona realizzata, perché ho una famiglia che adoro, un lavoro che mi dà tanto e posso dire a gran voce che l’Italia è casa mia!!
Il progetto “Raccontarsi a modo mio”, a cura di Jorida Dervishi, sarà presentato pubblicamente a Milano, il 9 ottobre, presso la Casa dei diritti.