Sono solo parole?
di Filippo Cinquemani
E’ sotto gli occhi di tutti, o almeno sotto i miei, in quanto attivista, che stiamo vivendo un momento
di grande vivacità riguardo i movimenti sociali e culturali.
Un momento in cui si cerca, a volta con fatica, di andare sempre più verso l’inclusività sociale e non solo.
L’inclusività è un percorso che passa anche attraverso il linguaggio, cioè il modo in cui si dicono le cose e soprattutto si definiscono le persone.
Sinceramente, da persona gender fluid, non ho nessun problema a utilizzare il maschile per
definirmi o per essere definito. Sono sensibile però le istanze di molte persone che, da non-binarie
(né maschili né femminili) si trovano in difficoltà con una lingua che non sembra prevedere la loro
esistenza. Spesso, soprattutto per pigrizia, si liquida l’argomento con affermazioni del tipo: “si è sempre detto
così…”, oppure: “sono solo parole in fondo”; Sembrano questioni di poco conto, ma la lingua è il principale mezzo che utilizziamo per trasmettere la nostra visione del mondo.
Le parole hanno un peso, possono ferirci ma anche farci stare bene.
Già negli anni ottanta, la linguista e saggista Alma Sabatini nel libro “Il sessismo nella lingua
italiana” sottolineava come nel nostro uso della lingua italiana, lo spazio dato al maschile è ancora molto ampio e questo, in qualche modo, corrobora il principio della marginalità della donna e delle persone non binarie nella nostra società. In italiano, infatti, si usa tuttora il maschile, cosiddetto pervasivo, per riferirsi ad una folla che comprende persone di sesso e genere differente.
Le mie conclusioni sono quindi che, se il linguaggio non influenza la società spesso ne è lo specchio. La lingua ,del resto, come la società è in continuo cambiamento, anche se questo cambiamento non è sempre ben visibile. Escono ed entrano nel nostro vocabolario comune un numero non indifferente di parole.
Nel caso specifico, dell’adozione del neutro, ne sente la necessità una parte di popolazione che vuole essere riconosciuta ed è stufa di vivere nell’invisibilità dell’indefinito e indefinibile.
Possiamo quindi sforzarci di venire incontro a questo bisogno? Fosse facile. Non bisogna essere linguisti per accorgersi che la nostra lingua non prevede un neutro; ci sono però varie strategie pensate e adottate negli ultimi anni per venire incontro a
questa esigenza linguistica. I più diffusi sono: l’asterisco nello scritto, la circonlocuzione (care
persone…), la sostituzione della O con la U e lo SCHWA (nel caso non sapeste di che si tratta
consultate pure la rete).
Come mi regolo io malgrado la mia pigrizia? Li uso un po’ tutti, alcuni più di altri, soprattutto in contesti in cui questo può essere particolarmente apprezzato.
Ci vorrà molto tempo probabilmente perchè si affermi un’unica soluzione linguistica per formare il
neutro. Personalmente credo però che come la società è formata dai suoi componenti, così la
lingua la fanno i parlanti.