“America latina. Diritti negati”. Il Cile rifiuta la nuova Costituzione
di Tini Codazzi
Il primo febbraio scrivevamo su questo giornale sulla vittoria del giovane Gabriel Boric dopo le elezioni presidenziali di dicembre dell’anno scorso. Parlavamo di aria fresca, giovane e innovativa che avrebbe potuto invadere tutti gli angoli di questo stretto paese che è il Cile. Uno dei punti forti della campagna di Boric era il cambio della Costituzione Nazionale nata tra le mani della dittatura di Augusto Pinochet nel 1980. L’Assemblea Costituente formata da 155 membri e molto elogiata da politici del mondo e incaricata di scrivere la nuova Carta Magna ci ha messo un anno di lavoro per creare un testo di 388 articoli che attraversano i punti focali di una moderna repubblica dell’America Latina: il cambio a stato plurinazionale con più autonomia regionale, cambi nella giustizia, nella sanità pubblica, sviluppo della democrazia paritaria e della uguaglianza di genere, libertà sessuale e riproduttiva, protezione dell’impiego ed equilibrio tra stato e privato.
I risultati del referendum obbligatorio fatto a settembre, pietra miliare di Boric, non ha avuto i risultati che il Presidente sperava. Il 62% dei cileni non è stato d’accordo con il nuovo testo e ha votato no. Dunque, cos’è successo? Nel 2019 il popolo cileno è andato in piazza per esigere dei cambiamenti, per chiedere una maggior uguaglianza tra i diversi strati della società. Facendo un breve analisi della bozza della nuova costituzione sembrerebbe che questi cambiamenti sono stati contemplati nel testo. Paradossalmente per il popolo, la nuova Carta Magna e forse la stessa Assemblea Costituente era molto di sinistra, molto radicale e aggiungerei io molto “innovativa” per una nazione che culturalmente e per il suo passato storico è sempre stata piuttosto conservatrice, ma non intendo solo politicamente moderata, bensì un po’ diffidente dei cambi improvvisi e comunque tendente a preservare quella sicurezza che la democrazia le ha offerto dopo Pinochet. Si respira un po’ di paura riguardo all’equilibrio tra lo Stato e il privato. La liberalizzazione non convince più di tanto. La società vuole cambi, è vero, vuole il nuovo, ma forse non così nuovo. Una Costituzione probabilmente più conservatrice e convenzionale, anche se in sintonia con i tempi che viviamo e in costante cambiamento sarebbe stata meglio accolta.
Si respira incertezza, non c’è molto accordo sociale e politico, il presidente Boric e il suo governo sanno che devono riiniziare da zero, fare un paso indietro e ascoltare la decisione del popolo.
Alcuni analisti politici affermano che il tempo è stato nemico. I mesi che sono trascorsi tra le elezioni e questo referendum, quasi un anno, hanno fatto sì che la gente iniziasse a dubitare, è stato controproducente. La polarizzazione all’interno del governo nemmeno è stata di aiuto.
Sta di fatto che a febbraio dovevamo avere gli occhi puntati su Boric. Anche adesso.
Le ferite sono sempre aperte, il Cile ha bisogno di pochi passi ma sicuri, il passo più lungo della gamba non funziona. La portata dell’esplosione sociale del 2019 ci ha confuso e depistato parecchio. Staremo a vedere quali decisioni prenderà Boric nei prossimi mesi.