Non rinnovare gli accordi Italia-Libia
ll prossimo mercoledì 26 ottobre a Roma, alle ore 14.30 presso la Sala Cristallo dell’hotel Nazionale in Piazza di Monte Citorio 131, per chiedere all’Italia e all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e non rinnovare gli accordi con la Libia.
Dopo la conferenza stampa, le organizzazioni invitano la società civile a scendere in piazza durante la manifestazione organizzata alle 17,30 in Piazza dell’Esquilino.
100.000 persone respinte in Libia in 5 anni, #NONSONODACCORDO
Amnesty International sta raccogliendo le firme.
Se entro il 2 novembre il governo italiano non deciderà per la sua revoca, il Memorandum Italia–Libia verrà automaticamente rinnovato per altri 3 anni. Si tratta di un accordo che da ormai 5 anni ha conseguenze drammatiche sulla vita di migliaia di donne, uomini e bambini migranti e rifugiati. Dal 2017 ad ottobre 2022 quasi 100.000 persone sono state intercettate in mare dalla guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro. Le organizzazioni chiedono al governo italiano di riconoscere le proprie responsabilità e di non rinnovare gli accordi con la Libia.
Memorandum of Understanding tra le autorità italiane e libiche. Rinnovo che avverrà automaticamente il 2 di novembre, ammenoché una delle parti (il governo italiano o quello libico) non si opponga prima della scadenza, annullando così l’accordo. Prospettiva che appare alquanto improbabile visto l’attuale scenario politico, che certamente porterà alla proroga del MoU per altri tre anni, da febbraio 2023 a febbraio 2026.
La chiamata all’azione – lanciata dal network europeo Abolish Frontex assieme all’assemblea Diritto di Migrare | Diritto di Restare, Mediterranea S.H. e Solidarity with Refugees in Libya – è stata raccolta in diverse città europee, dove ci saranno marce e sit-in fuori dai consolati e dalle ambasciate italiane di Parigi, Londra, Berlino, Barcellona, Madrid, Bruxelles, Berna e Zurigo. In Italia, invece, ci saranno azioni sia nei grandi centri, da Napoli a Torino passando per Roma e Milano, che in provincia, come a Brescia, Carpi e Schio.
La richieste avanzate dai promotori sono la fine di tutti i finanziamenti e della cooperazione con la cosiddetta Guardia costiera libica, la fine della criminalizzazione del soccorso civile in mare e delle persone in movimento, la chiusura dei centri di detenzione libici, l’attivazione di una missione europea di salvataggio in mare, l’evacuazione di tutte le persone in movimento presenti in Libia verso i paesi sicuri dell’Ue. Rivendicazioni molto simili a quelle del movimento Refugees in Lybia, nato un anno fa da persone migranti bloccate nel paese nordafricano, per opporsi a condizioni di vita inumane e chiedere l’immediato trasferimento in Europa. Lo scorso gennaio, dopo oltre cento giorni di sit-in permanente sotto la sede dell’UNHCR di Tripoli, centinaia di manifestanti vennero sgomberati con la forza dalle milizie libiche e rinchiusi nelle carceri di Ain Zara, nel silenzio complice delle istituzioni internazionali per i rifugiati.
Oggi, oltre trecento di loro si trovano ancora in quelle orribili prigioni, mentre le condizioni di sicurezza del paese peggiorano ulteriormente, con l’inasprimento del conflitto tra i governi di Tripoli e Tobruk che fa presagire una nuova guerra civile. Solo pochi giorni fa, 17 persone migranti sono state bruciate vive in una barca presso la città di Sabrata, presumibilmente da trafficanti: è ormai nota la vicinanza (se non l’identità) tra i gruppi di trafficanti e le milizie libiche della sedicente guardia costiera sostenute dal governo italiano.
E’ importante inserire il Memorandum Italia-Libia nel contesto della vasta politica europea di respingimento ed esternalizzazione delle frontiere. Infatti, come denuncia Sea Watch, è proprio Frontex a fornire le coordinate alla guardia costiera libica per effettuare i respingimenti in mare, che sono stati 16.500 solo nel 2022 e almeno 80 mila dal 2017. A tal proposito, il 5 ottobre è partita l’ennesima investigazione del difensore civico europeo contro l’agenzia europea di guardia delle frontiere, che indagherà anche sulla EEAS (European External Action Service), provando a far luce sui training formativi e sulla sorveglianza aerea effettuate da Frontex a supporto della GACS, l’Amministrazione Generale per la Sicurezza Costiera libica. Inoltre, è bene ricordare che l’azione italiana ed europea non si limita a finanziare le capacità e le infrastrutture di pull-back dal Mediterraneo alla Libia e di detenzione, ma si spinge ancora più a sud, supportando direttamente anche la ‘difesa’ del confine meridionale del paese. Questo significa altre deportazioni e altra morte, stavolta nel deserto: il Sahara, sotto la cui sabbia non si contano i corpi, è oggi un cimitero più grande del Mediterraneo, e per l’Ue Agadez è divenuta nevralgica almeno quanto Tripoli.
Grazie al lavoro investigativo di molte ONG indipendenti come Amnesty International, alle testimonianze di chi arriva in Italia, ai movimenti come Refugees in Libya, alle inchieste giornalistiche, dopo cinque anni dalla legge Minniti-Orlando possiamo dire che della Libia sappiamo tanto, se non tutto. Sappiamo cosa succede nei centri di detenzione, sappiamo delle torture, dei respingimenti violenti, della tratta, dei lavori forzati, delle violenze sessuali, delle uccisioni di massa. Sappiamo che questo è costato ai contribuenti italiani quasi un miliardo di euro, solo per quanto riguarda le missioni militari.
Negli ultimi cinque anni sono state oltre 85.000 le persone intercettate in mare e riportate in Libia: uomini, donne e bambini andati incontro alla detenzione arbitraria, alla tortura, a trattamenti crudeli, inumani e degradanti, agli stupri e alle violenze sessuali, ai lavori forzati e alle uccisioni illegali.
Sono intrappolati in un paese devastato dal conflitto, dove l’illegalità e l’impunità consentono alle bande criminali di prosperare. Molti, temendo per la propria vita e non avendo una via d’uscita sicura e legale dal paese, tentano di raggiungere l’Europa su fragili barche. Sempre più persone vengono fermate e riportate in Libia, a seguito delle misure messe in atto dai governi europei per chiudere la rotta marittima e contenere le persone in un paese non sicuro.
La maggior parte dei rifugiati e dei migranti in Libia proviene dall’Africa subsahariana e settentrionale, mentre un numero minore proviene dall’Asia e dal Medio Oriente. I motivi per cui hanno lasciato i loro paesi d’origine sono vari. Alcuni sono fuggiti a causa di guerre, carestie o persecuzioni. Altri sono partiti in cerca di una migliore istruzione o opportunità di lavoro. Molti di loro intendono rimanere in Libia, mentre altri sognano di raggiungere l’Europa, o sono spinti a farlo dal peggioramento delle condizioni in Libia.
Vogliamo che non si rinnovino gli accordi tra Italia e Libia per la dignità di ogni essere umano!