Violenza di genere: solo il 27% delle donne ha intrapreso un percorso giudiziale, civile o penale
(Da La27esimaora.corriere.it)
di Francesca Visentin
Denunce per abusi e violenza che si trasformano in processi contro le donne che hanno denunciato. Sentenze che penalizzano le donne, finiscono con allontanare i figli dalla madre o addirittura per affidarli al padre violento. Ctu farlocche utilizzate dai violenti come strumento per vendicarsi e sottrarre i figli alle donne che li hanno denunciati.
Una storia che si ripete. Al punto che le donne sopravvissute alla violenza dichiarano di non avere fiducia nei tribunali, nelle forze dell’ordine e nei servizi sociali. Il quadro è chiaro, emerge dall’indagine presentata a Verona nell’evento La parola delle donne da 37 centri antiviolenza del circuito nazionale D.i.Re, Donne in Rete contro la violenza (82 organizzazioni in Italia tra Centri e Case rifugio, che sostengono ogni anno 20mila donne). L’indagine ha analizzato i casi di 5.740 donne, solo il 27% di loro, proprio per la sfiducia nei tribunali, ha intrapreso un percorso giudiziale, civile o penale. E tra le istituzioni segnalate come più vittimizzanti e meno tutelanti nelle varie fasi del percorso di uscita delle donne dalla violenza, ci sono i servizi socio-sanitari, i consulenti tecnici d’ufficio, le forze dell’ordine e i tribunali.
Per questo Donne in Rete avvierà un Osservatorio sulla vittimizzazione secondaria e sta portando avanti una ricerca statistica proprio sul tema, che sarà ultimata nel 2024. Intanto, un gruppo di lavoro controllerà e evidenzierà le buone pratiche che aiutano a contrastare la vittimizzazione istituzionale e secondaria. E agirà in modo tempestivo per un cambiamento culturale concreto sia del linguaggio, che dell’approccio delle istituzioni alla violenza maschile sulle donne.
A Verona D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, ha approfondito il tema della vittimizzazione istituzionale e secondaria partendo proprio dalla sfiducia delle donne nelle istituzioni. La città non è stata scelta a caso, Verona è diventata simbolo dell’immensa manifestazione (tre anni fa) che i movimenti delle donne avevano fortemente voluto per rispondere al patriarcato del Family Day.
«Il quadro che emerge dalla nostra indagine, non è per nulla rassicurante: siamo ancora molto lontane dal considerare le istituzioni come alleate nel contrasto alla violenza maschile sulle donne – sottolinea Antonella Veltri, presidente D.i.Re Donne in Rete contro la violenza – . Sono pochi i casi affrontati con la correttezza adeguata e con la giusta consapevolezza, approfondendo la conoscenza di un fenomeno su cui ormai esiste moltissima letteratura e per il quale l’ignoranza e la superficialità non sono più consentite».
Raffaele Sdino, presidente della sezione famiglia del Tribunale di Napoli ha fatto notare: «Perché una donna che subisce violenza non deve essere libera di esprimere la sua rabbia? Perché dovrebbe essere collaborativa con le istituzioni che non la ascoltano? Dobbiamo imparare a conoscere la violenza e le sue conseguenze».
La responsabilità di stereotipi nei tribunali, ignoranza e impreparazione di giudici, avvocati e magistrati è stata più volte denunciata dalla giudice Paola Di Nicola Travaglini, consigliera di Cassazione, che continua a chiedere a gran voce «formazione obbligatoria per magistratura, forze di polizia e corsi continuativi dall’asilo per bambine e bambine, in modo da sradicare gli stereotipi culturali che sono alla base della violenza».
Anche recentemente a Bookcity a Milano la giudice Di Nicola Travaglini ha messo in guardia: «Attenzione alle narrazioni stereotipate e deformanti che tirano in ballo i sentimenti. Un uomo che uccide una donna non la uccide perché è innamorato, ma perché non tollera la libertà di quella donna, l’espressione dei suoi talenti e del suo potere decisionale. Una libertà che mette in crisi un sistema patriarcale globale millenario. I femminicidi sono paragonabili ai delitti per mafia e vanno letti con le lenti di genere: solo riconoscendo il carattere sistemico della violenza contro le donne possiamo comprendere e giudicare correttamente questo tragico fenomeno».