“Art(e)Attualità”: Tori e Lokita (questa volta parliamo di un film)
di Alessandra Montesanto
Lokita ha sedici anni e Tori dodici; sono partiti entrambi a piedi dall’Africa: lei dal Camerun e lui dal Benin. Non sono fratelli dal punto di vista biologico, ma hanno creato un legame molto forte, tanto da farli sentire tali. Arrivano a Catania per poi continuare il loro viaggio e giungere in Belgio dove, secondo la legge dello Stato, devono dimostrare di essere parenti e, non potendolo fare, entrano in un giro di malaffare per ottenere i documenti necessari a poter vivere dignitosamente.
I due giovani frequentano il bar di un uomo, Betim, che traffica in sostanze stupefacenti e li coinvolge nello spaccio come corrieri della droga, approffittando anche sessualmente di Lokita in cambio della promessa di libertà. La ragazza vuole inviare denaro in Africa per mantenere i propri familiari, ma deve anche proteggersi dai trafficanti che l’hanno aiutata a partire dal proprio paese e che devono ancora riscuotere il credito di viaggio. Dopo tre mesi di coercizione da parte di Betim e dei suoi complici, Lokita otterrà i documenti falsi per il permesso di soggiorno, ma non sarà mai libera su questa terra: Tori, infatti, vedrà i suoi piedi spuntare da un cespuglio e capirà (capiremo) che Lokita è stata privata della vita. Tori abbassa lo sguardo nella speranza di vederla rialzarsi, ma lei non lo farà.
Tori e Lokita, come molti migranti irregolari nella realtà, vengono inseriti in un centro di accoglienza belga, che non accoglie affatto, ma è solo un dormitorio; i due noti registi,Jean-Pierre e Luc Dardenne, con l’uso della tecnica registica del pedinamento (con camera a mano e inquadrarture tormentate come i protagonisti) fanno seguire agli spettatori passo dopo passo i due giovani per le strade della città in cui si trovano a sopravvivere, tra non-luoghi (per dirla con Marc Augè) e pericoli alla ricerca di un posto sicuro nella società, dopo che insieme hanno formato una piccola famiglia, seppur fittizia.
“Rosetta”, “Il ragazzo con la bicicletta”, “La promessa” e altre: opere che mettono in luce, da angolature diverse, le difficoltà degli adolescenti in un’epoca – e in un Occidente – che offre molto a chi è già privilegiato e che si accaniscono su chi parte svantaggiato. Lokita porta sulle spalle anche il peso dell’età e dell’essere donna. Tori è costretto ad affrontare da solo il viaggio della e per la vita, con l’illusione di trovare un futuro migliore e troppo presto dovrà fare i conti con la violenza e con la perdita di una persona cara.
Un’ immagine fissa apre il film, presentato in concorso all’ultima edizione del festival di Cannes: è il volto di Lokita intenta a rispondere a una raffica di domande che provengono dal fuoricampo e rivolte alla ragazza dalla commisione di valutazione degli immigrati per l’assegnazione del permesso di soggiorno. Sembra l’interrogatorio di una criminale, quando non avere i documenti è solo un reato amministrativo. I Dardenne, quindi, fin dall’incipit denunciano le politiche errate e punitive in termini di diritti umani da parte dell’ Unione Europea. Mentre Lokita si sacrifica – fino all’estremo – per il sostentamento di tutti, Tori dimostra di essere un ragazzino vivace, intelligente, pieno di idee, che cerca di dare fondo a tutte le energie pur di aiutare l’amica e se stesso in questo percorso dantesco che non dà loro tregua. Il legame che li unisce e una filastrocca sono gli unici appigli che li fanno procedere con tenacia in un mondo adulto scevro di ogni umanità. Alla fiera dell’Est – il motivo che i due hanno imparato in Sicilia – è un antico canto ebraico che Angelo Branduardi ha modificato nella versione italiana e che narra di una creatura piccola e debole che viene mangiata da quelle via via sempre più grandi e prepotenti.
L’essenzialità fa anche di quest’ultimo lavoro dei Dardenne una critica alla società contemporanea, una riflessione sulla deriva valoriale in particolare degli adulti che dovrebbero proteggere i giovani, soprattutto se sono Minori Stranieri Non Accompagnati, e invece li sfruttano o li abbandonano (come le istituzioni).
Non è un film particolarmente originale, se si conosce la cinematografia degli autori, ma ancora oggi, e forse più che mai, si tratta di un film necessario per far comprendere l’attualità e restituire, almeno virtualmente, dignità a tutte le ragazze e i ragazzi che hanno perso l’infanzia e la giovinezza, se non la vita stessa, a causa di meccanismi economici e di potere che li divora come topolini inermi (“Alla fiera dell’Est per due soldi un topolino mio padre comprò; e venne il gatto che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò…”).