“Stay human. Africa”. Africa omofoba: Uganda, Kenya e gli altri
di Filippo Cinquemani
A marzo scorso in Uganda è stata presentata una legge ANTI-LGBTI che conferma l’ergastolo a chi pratica l’omosessualità liberamente, aumenta di 10 anni la pena per tentata condotta omosessuale e introduce la pena di morte per “Omosessualità aggravata”. L’aggravante riguarda comportamento recidivo, i sieropositivi e chi intrattiene relazioni omosessuali con minorenni e persone con
disabilità, negando a quest’ultimi la capacità di consentire a un rapporto sessuale. Alex Onzima, sottosegretario del governo ugandese, ha definito l’omosessualità peggio di un tumore maligno.
L’omosessualità è criminalizzata in più della metà dei 54 paesi africani. In Kenya la condotta omosessuale può portare fino a 14 anni di carcere, ma c’è chi spinge per l’ergastolo.
Il ministro dell’istruzione della Tanzania, Ezekiel Machogu, ha annunciato l’istituzione di un comitato, con a capo un arcivescovo della Chiesa Anglicana, per contrastare l’infiltrazione di una fantomatica agenda LGBTQ+.
Il caso della Tanzania ci porta a chiederci se sia stato proprio il colonialismo europeo a rendere l’Africa un continente omofobo.
Effettivamente, prima dell’epoca coloniale, molte culture tradizionali erano tolleranti nei confronti delle diverse sessualità.
Nella numerosa tribù ugandese Ganda, venivano attribuiti titoli maschili a certe donne dei clan che non svolgevano le mansioni tipiche delle appartenenti al loro sesso.
Possiamo affermare, più in generale, che esistono prove etnografiche dell’esistenza di relazioni omosessuali nell’Africa precoloniale.
Le leggi contro la sodomia in Africa hanno avuto terreno fertile grazie al Cristianesimo. La cultura africana è stata dipinta come primitiva e demoniaca dai missionari delle chiese occidentali.
Abbiamo, quindi, “esportato” l’eteronormatività nel continente africano.
Negli ultimi decenni, gruppi di evangelisti cristiani hanno contribuito a condannare l’attivismo in favore dei diritti umani e anche di quelli LGBT.
Oggi, nella maggior parte dei paesi dell’UE, chi vuole fare domanda di protezione internazionale sulla base del proprio orientamento sessuale deve produrre le prove di un comportamento persecutorio a suo danno, anche se il paese d’origine criminalizza l’omosessualità.
Nonostante il tragico quadro appena descritto, un diciannovenne gay ugandese si è detto disposto ad essere arrestato pur di essere quello che è, posizioni come questa ci portano a riflettere sul valore sociale e politico del coming out non solo nel continente africano. Nel nostro paese, non mancano quelli che considerano l’essere effemminati e che riducono l’orientamento sessuale ad una semplice
“questione di letto”, così, giusto per ricordare che l’omofobia non abbiamo inventata per sentirci discriminati.