La piaga del caporalato
di Martina Foglia
Scrivo questo articolo con molta amarezza nel cuore. Questo scritto vuole affrontare un fenomeno molto preoccupante che accade nel nostro Paese e che ciclicamente viene affrontato anche da noi e da altri media.
Una questione ancora oggi irrisolta che mi addolora, mi ferisce nel profondo, mi fa pensare quanto l’essere umano in determinate circostanze, possa essere crudele e spietato; vi voglio parlare di un fenomeno che contrariamente a quanto si pensi non è concentrato solo nel sud Italia, ma nell’intera penisola: il caporalato ovvero, un sistema di reclutamento e di sfruttamento della manodopera, in prevalenza extracomunitaria – senza utilizzare, quindi, quelli che sono i canali tradizionali messi a disposizione dallo Stato (come ad esempio l’ufficio di collocamento e strutture similari).
Questa forma di sfruttamento di manodopera è presente un po’ in tutti i settori dell’economia come nei trasporti o nel settore terziario ,ma soprattutto è ormai un fenomeno radicato nel settore agricolo che già di per sé è un settore problematico, stagionale con contratti brevi e a termine e vincolato alle variazioni climatiche e atmosferiche. Il caporale, persona comune senza nessuna qualifica, fungendo da intermediario tra lavoratore e azienda agricola, sfrutta proprio l’elemento dei contratti precari di lavoro e della stagionalità del settore, approfitta del lavoratore per proporre una paga al di sotto del minimo salariale e senza neanche le minime condizioni di sicurezza. Per non parlare delle condizioni abitative in cui vivono i lavoratori: baraccopoli fatiscenti in lamiera o costruite con materiali di scarto dove non esistono neanche le minime condizioni igieniche! Dall’altra parte il lavoratore ha un’unica alternativa se vuole dare sostentamento alla propria famiglia che spesso è anche numerosa: accettare questi impieghi con la speranza di poter dare un futuro migliore ai propri figli.
Lavorano ore e ore sotto il sole cocente o la pioggia incessante per una retribuzione da fame.
Molto spesso non sanno neanche quali siano le tutele a garanzia dei loro diritti, non conoscendo le leggi italiane in materia.
Dove va a finire la dignità di queste persone? Ogni giorno queste persone non hanno la sicurezza di poter tornare dalle loro famiglie! Molti, infatti, muoiono di sfinimento o per il troppo caldo; molti di questi lavoratori sfruttati hanno bambini piccoli costretti a rimanere a casa da soli 12/13 ore e devono occuparsi di tutto: farsi autonomamente da mangiare, occuparsi delle faccende domestiche, fare i compiti e andare a letto. Tutto questo perché i genitori non sono ancora tornati dal lavoro nei campi : anche questo è sfruttamento e violazione di un diritto: il diritto all’infanzia.
Quante storie del genere dovremmo ancora sentire prima che il governo, le regioni, le istituzioni pongano fine a queste forme di schiavitù? Siamo bravi solo a parlare, ma molto poco ad agire. Non voglio generalizzare perché so che esistono realtà associative che si impegnano ogni giorno nel denunciare questo fenomeno, ma so che non vengono adeguatamente supportate e e soprattutto ascoltate dagli enti preposti.
Quando si sente parlare di schiavitù la nostra mente è portata ancora a pensare a realtà come l’Africa o l’India, insomma i cosiddetti “Paesi del terzo mondo”, ma la realtà è che la schiavitù esiste anche in Italia e nei paesi cosiddetti “civilizzati”.