“America latina. Diritti negati”. Non voltarti…
di Tini Codazzi
Vorrei condividere questa importante testimonianza scritta da un mio carissimo amico, un fratello. Una storia che ha avuto un finale felice per fortuna per HB e per tutti quelli che lo conoscono. Non è stato così per migliaia di persone che hanno subito delle persecuzioni, detenzioni illegali e torture in questi 20 anni di regime in Venezuela. Per motivi di sicurezza ho lasciato le iniziali dei nomi di tutti i protagonisti.
Non voltarti…
di HB
Dieci anni fa, il 6 agosto del 2013, atterravo a Miami su un volo della Santa Barbara Airlines, proveniente dal Venezuela, arrivavo con un bagaglio a mano e senza sapere cosa ne sarebbe stato della vita di mia madre e di mio figlio, tanto meno della mia. All’aeroporto mi aspettava O, che mi ha aperto le porte della sua casa e mi ha offerto una sistemazione in un momento così difficile e complicato. Ma questa è solo una parte della storia. Torniamo al giorno prima.
Il 5 agosto facevo una visita medica di routine di mio figlio JH, mentre il dottore lo visitava, ho ricevuto una telefonata dall’ufficio del governatore dello stato di Miranda (Caracas fa parte dello stato di Miranda) che mi diceva che il SEBIN (Servizio Bolivariano di Intelligence Nazionale) era arrivato nel mio ufficio, chiedendo di me. Questi agenti erano armati e i miei collaboratori gli dissero che non c’ero. Ho contattato immediatamente l’ispettore A e mi ha detto che ero indagato per riciclaggio di denaro e che avevano bisogno di sapere se appartenevo davvero a una banda internazionale che operava a Malta. Confesso di essere rimasto scioccato da questa notizia. Non avevo davvero idea di cosa stesse parlando. Gli dissi che ero con mio figlio in una visita medica.
In quel momento non sapevo cosa fare, chiamai subito OL, mi disse “ti richiamo io”; poi ricevei una telefonata da una persona che lavorava nel SEBIN e mi disse: “Devi andare a trovare J ora” e riattaccò il telefono. J è mio fratello, che a quel tempo viveva già a Porto Rico. In quel momento capii che dovevo lasciare il Paese e che si trattava di una caccia alle streghe e di una persecuzione politica, ma questo lo affronteremo un altro giorno.
O. mi richiamò immediatamente e mi disse “devi lasciare il Paese ORA, vai in quell’ufficio” e quando arrivai lì una persona aveva in mano un biglietto aereo per partire per gli Stati Uniti, nelle prime ore del mattino. Mi chiesero: “Rischia di uscire dall’aeroporto?” e io ho risposto “Sì”. Mi hanno dato alcune istruzioni su cosa dovevo fare per depistare il SEBIN. Ad esempio, appena tornato a casa dovevo spegnere il cellulare togliendo la batteria e la sim e così ho fatto, dovevano credere che stessi dormendo.
Quando sono tornato a casa, c’era mia madre con mio figlio e le ho spiegato tutto quello che stava accadendo e le ho chiesto: “Cosa devo fare? E mia madre, sempre con un carattere saggio e sagace mi dice: “esci dal Paese, perché non faccio nulla con un figlio in prigione, un bambino di 5 mesi e io con l’Alzheimer (diagnosticato di recente), ti prometto che se non puoi tornare, non appena avrò il visto di JH, il giorno dopo saremo insieme”.
In quel momento andai nella stanza dove mio figlio dormiva nella sua culla e mi inginocchiai per chiedergli perdono per abbandonarlo. Avere un figlio era ciò che desideravo di più e abbandonarlo all’improvviso mi faceva sentire la persona più vile e schifosa del pianeta. Non mi sono mosso dalla sua culla fino a quando non sono dovuto partire per l’aeroporto, grazie a due persone che saranno sempre nel mio cuore e che mi aspettavano alle due di notte all’ingresso del mio palazzo per portarmi all’aeroporto. Hanno messo a rischio la loro vita per me e per questo gliene sarò sempre grato.
Al momento di salutare mio figlio gli ho detto: ” “Ti giuro che presto sarai con me, prenditi cura della nonna” (cosa che sembra essergli rimasta impressa nella mente, perché quando cresceva si occupava sempre di lei). Ho abbracciato mia madre e le ho detto “rimango e vediamo cosa succede” e lei mi ha detto “non si può negoziare con i delinquenti”. Ho iniziato a camminare verso l’ascensore e quando sono arrivato alla porta stavo per girarmi per vedere gli occhi di mia madre, e lei, che aveva visto tutto, mi ha detto “Non girarti, continua ad andare, arriveremo, te lo prometto”.
Una volta in aeroporto ricordo che sono stato il primo a fare il check-in e al desk di Santa Barbara, prende il mio passaporto e mi guarda, io sono spaventata a morte e lei mi dice “Solo un momento”, poi torna e mi dà la carta d’imbarco, da lì vado subito all’immigrazione e di nuovo consegno il passaporto e la carta d’imbarco e l’addetto all’immigrazione mi guarda e guarda di nuovo il computer e dice “Aspetti un attimo”, torna con un altro addetto all’immigrazione che segna qualcosa sulla tastiera e se ne va e lei dice “il sistema si era bloccato”, timbra il mio passaporto e decido di entrare nell’Admiral Club, per aspettare la partenza dell’aereo. In quel momento vedo un computer e decido di creare un account Gmail per avvisare le mie zie (le sorelle di mia madre) e racconto loro quello che sta succedendo, confidando che mia zia M., che era mattiniera, lo leggesse e accompagnasse mia madre (cosa che fece).
Mi imbarco sul volo piena di paura e di dolore per aver lasciato mio figlio, mia madre, la mia famiglia e il mio Paese. Mi siedo e decido di guardare dal finestrino, in modo che se ci fosse qualcuno che mi conosceva, non mi avrebbe salutato in un momento in cui dovevo cercare di essere il più invisibile possibile. Quando la porta si chiuse e l’aereo iniziò a prepararsi per il decollo, ho inserito la sim nel mio BlackBerry, la batteria e quando stavo per decollare ho mandato una manina con il pollice alzato come segno che tutto era andato bene a tutti quelli che aspettavano la mia partenza. Ho guardato fuori dal finestrino e le mie lacrime scorrevano incontrollate perché sapevo che non sapevo quando sarei tornato nel mio Paese.
Quando sono atterrato a Miami, ho iniziato a ricevere messaggi che mi informavano che il SEBIN era arrivato a casa mia 15 minuti dopo che l’aereo era decollato, hanno cercato di intimidire mia madre, che è sempre rimasta forte, almeno in loro presenza.
Già a Miami, con soli 500 dollari in mano, iniziai un periodo di sopravvivenza, di cui scriverò un altro giorno. Grazie a O, V, S, M, I, a mio fratello J, R, O, C, D, F, MA e naturalmente a mia madre LB, che senza il suo sostegno non avrei ottenuto nulla. Tutti loro sono stati presenti fin dall’inizio e grazie a loro sono riuscito a sfuggire in tempo a un futuro incerto.