Trieste. La piazza del mondo
Pubblichiamo una parte dell’importante reportage di Luca Greco che ringraziamo molto per aver deciso di condividere con Associazione Per i Diritti umani alcune sue immagini e le sue riflessioni. Reportage che documenta le condizioni dei migranti che provengono dalla rotta balcanica e che vengono aiutati da Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, fondatori dell’associazione “Linea d’ombra”; reportage che si fa denuncia e testimonianza diretta della violazione dei diritti umani per i migranti. Facciamo che diventi un appello per la politica e per ognuno di noi.
La piazza del mondo ti accoglie appena esci dalla stazione ferroviaria di Trieste.
E subito ti colpisce.
Colpisce per gli sguardi di chi la abita e per l’indifferenza di chi ci passa accanto e non ci entra.
E come se tutt’attorno fosse circondata da un muro invisibile. E dentro ci sono loro: decine e decine di giovani uomini con il viso stravolto ed i piedi distrutti. Che in silenzio aspettano: ci sono infermiere che curano le loro ferite mentre altri volontari distribuiscono tagliandi per avere cibo, scarpe e coperte. Ben sapendo che cibo, scarpe e coperte non basteranno per tutti.
Alcuni ingannano l’attesa giocando con un pallone. Altri pregano o provano a chiamare casa. Altri ancora cuciono i nomi di chi non c’è più in quello che qui viene chiamato il “lenzuolo della memoria”.
E poi arriva Mohamed, un bimbo afgano di 9 anni che quasi riesce più a muoversi. Ha appena attraversato il confine camminando. Tanta parte della piazza si precipita e lo circonda, cercando di farlo ridere per distrarlo dal dolore delle piaghe ai piedi.
Ma come si possono curare le ferite dell’anima?
La Piazza del Mondo comincia a riempirsi nel tardo pomeriggio, quando il sole comincia a calare. Gli abitanti della piazza hanno ormai acquisito l’arte dell’attesa. Si aspetta che vengano distribuiti i biglietti per la cena e quelli per i vestiti, si aspetta l’arrivo delle infermiere a cui mostrare le piaghe e le ferite, si aspetta l’arrivo di qualcuno con cui scambiare due parole. Si aspetta che il tempo passi o si trasformi. Si aspetta l’arrivo di qualcosa di nuovo. Si aspettano, ad esempio, gli scout.
Che proprio oggi, con il loro carico di energie e curiosità, sono arrivati. A giocare, a distribuire il cibo, a ricamare i nomi di chi non c’è più, ad ascoltare le storie di chi ha attraversato i Balcani a piedi ed a raccontare di come, anche loro spesso a piedi, sono arrivati a Trieste. Ventenni che accolgono loro coetanei. E così gli scout hanno riempito la piazza. Di vita e di risate.
In tutto questo, affamate ed impaurite, le persone continuano ad arrivare. E la piazza continua ad accogliere.
La Piazza del Mondo è una piazza partigiana.
Gian Andrea Franchi – fondatore assieme alla moglie Lorena Fornasir di “Linea d’ombra” – in proposito ha le idee chiarissime: la loro azione, il prendersi cura dell’altro, è un atto politico, non semplice volontariato. Curare i migranti, nutrirli e vestirli per consentire loro di riprendere il cammino, ovunque vogliano andare, è una critica diretta e frontale alla politica migratoria italiana ed europea. Laddove gli Stati costruiscono muri, loro gettano ponti. Restituiscono dignità ed umanità a chi, per colpa delle politiche liberiste e neocoloniali, è stato privato di tutto. Al centro della loro azione c’è la persona che, in quanto tale, è portatrice di diritti inalienabili.
La piazza è la dimostrazione concreta che un altro mondo, non solo è possibile ma necessario. E per il solo fatto di esistere, diventa un atto di resistenza. Culturale, politica ed umana.
A Kanvala ci accompagna Sohail che da 2 mesi dorme lì. Ed ecco che quello che loro chiamano il “Grand hotel” si mostra in tutta la sua drammatica e brutale violenza: zanzare, ratti, tafani. Qua e là spuntano alcune tende o altri ripari di fortuna. Niente acqua, né luce, né servizi igienici.
Questo enorme silos – di proprietà di coop alleanza 3.0 che, alla faccia del tanto decantato spirito cooperativo, ha denunciato i migranti per violazione di proprietà privata – è oggi abitato da circa 300 persone che vivono in condizioni disumane. Con la connivenza dello Stato e delle forze dell’ordine.
Kanvala rappresenta l’abisso dell’umanità ed il fallimento della politica guardiamo Sohail e gli chiediamo come sia possibile tornare tutte le notti in questo posto. Lui ci sorride, mi chiede una sigaretta e, mentre aspira, candido risponde: «non è per sempre, è solo per un po’. Presto o tardi me ne andrò da qui».
E così, mentre torniamo nella piazza del mondo, la “politica della cura” di Lorena assume ancora più significato. È lei a restituire dignità ai corpi dei migranti. Ed allora ricomincia la vita.
Ma Kanvala resta. Negli occhi e nel cuore.
La Piazza del Mondo ti obbliga a scegliere.
E quella di decidere a chi dare cibo, vestiti e coperte è una delle scelte più difficili da compiere.
Mani che chiedono, corpi che ti circondano fino a soffocare, sguardi che implorano: tutti hanno bisogno
di tutto. Ma tutto per tutti non c’è.
Ed è in quel momento che arriva il peso della scelta. Perché una scelta va comunque fatta.
Allora cerchi di individuare quelli appena arrivati, li riconosci dai piedi e dagli sguardi. Poi provi a capire le età delle persone, perché sai che minori e anziani hanno la priorità. E Poi, quanto tutti chiedono, ti accorgi che in un angolo della piazza, in disparte, c’è qualcuno che non riesce a chiedere. Ed allora sei tu ad andare da lui portando con te viveri e calzature.
Poi ti guardi le mani e capisci che hai finito tutto. E cerchi le parole per spiegarlo a quelli che sono rimasti senza niente e che si accalcano attorno a te pur sapendo che non c’è più nulla.
Nel mentre, nelle panchine della piazza, le mani delle infermiere continuano a curare i corpi e la dignità dei migranti. Perché gli arrivi continuano. E la solidarietà pure.
Shahid ha 25 anni ed è a Trieste da un qualche mese. Manca dal Pakistan da 6 anni. Per arrivare qui ha attraversato mezza Asia e mezza Europa: Iran, Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, Croazia, Slovenia. A piedi. Chiama spesso la madre e le sorelle per tranquillizzarle, loro non sanno che anche lui è uno degli ospiti del “Grand hotel Kanvala”. Vorrebbe fare il sarto, lo stesso lavoro che faceva in Pakistan.
In un inglese stentato, racconta la sua odissea: «Il viaggio è molto difficile, attraversare le montagne è molto difficile. molti sono morti. E quando vedi morire un compagno di viaggio non puoi dimenticarlo».
Sohail ha 26 anni e viene dal Kashmir. È partito a marzo. È stato costretto a lasciare casa: militava in un partito che chiedeva autonomia politica ed economica dall’India. La prima tappa del viaggio è il Pakistan.
A casa lascia il padre, 5 fratelli e 2 sorelle. Quello che guadagna non è sufficiente a mantenere la famiglia e per questo riparte.
«I confini più difficili da attraversare sono stati quello iraniano e quello bulgaro. In Iran ci hanno preso,
spogliato e ci hanno sparato con proiettili di gomma, in Bulgaria i militari usano cani che sono addestrati ad azzannarci».
L’ultima tappa del suo viaggio è l’Ungheria. Qui decide di pagare un passeur. «Eravamo in 26 nascosti in un camion. Non so da dove siamo passati perché eravamo rinchiusi e non potevamo guardare fuori.
Abbiamo viaggiato per 13 ore ed alla fine siamo arrivati qui».
“Mi chiamo Luca Greco e scrivo dalla provincia di Ferrara. Dal 14 al 19 agosto sono stato a Trieste, in piazza della libertà, dove Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, i fondatori di “Linea d’ombra”, accolgono i migranti che arrivano dalla rotta balcanica. Quel che ho visto è umanamente insostenibile e penso che andrebbe data una grande visibilità a quel che avviene quotidianamente in quella piazza. Ho scritto ed ho fotografato per l’intera settimana e quello che vi propongo è appunto il frutto di questo lavoro di documentazione”.