“America latina. Diritti negati”. Cile: 13/09/1973 – 13/09/2023
di Tini Codazzi
L’11 settembre è stato il Cinquantesimo anniversario del “Golpe de Estado” in Cile guidato dal generale Augusto Pinochet contro il governo democratico di Salvador Allende. È curioso e anche sorprendente che un evento così grave per la democrazia di un Paese sia avvenuto lo stesso giorno dell’attacco alle Torri Gemelle di New York, ma 28 anni prima.
Quel tragico giorno di settembre del ’73 diede inizio a un incubo che portò alla scomparsa e all’assassinio di oltre 4.000 persone in 17 anni di dittatura, secondo gli ultimi dati dell’Istituto Nazionale dei Diritti Umani (INDH). Senza contare il numero di persone torturate, stuprate, prigioniere o comunque vittime del potere repressivo, in questo caso si arriva a cifre agghiaccianti: più di 40.000 persone e
migliaia e migliaia di esuli politici.
Lo scorso 11 settembre, migliaia di persone testimoni di quegli anni hanno sfilato per le strade di Santiago, uomini e donne, vestiti di nero e con candele in mano, hanno ricordato per l’ennesima volta la dolorosa perdita di figli e figlie, mariti, mogli, padri o madri, amici, vicini o semplicemente connazionali mai più rivisti.
Lo stadio di Santiago è stato il più grande centro di detenzione e tortura della dittatura di Pinochet; decine di ex prigionieri politici sono tornati lo scorso 11 settembre per commemorare il momento, per ricordare che questa ferita non è del tutto chiusa, per onorare la memoria di tutti i “desaparecidos” e di tutte le persone che sono state torturate e uccise lì. Ora questi spazi sono un Museo della Memoria Nazionale per non dimenticare, per dire “NUNCA +”.
Come dicevamo, gli esuli negli anni immediati all’inizio della dittatura, sono stati migliaia e migliaia, in tutto il mondo e soprattutto in America Latina, molti di loro, in preda alla disperazione, arrivarono in Venezuela, una terra gentile che ha sempre accolto gli esuli di tutto il mondo. Tanti artisti, poeti, scrittori, persone comuni che erano state torturate e che stavano scappando dalle tenebre. Tra tutti questi è arrivato Manuel, un bambino di soli 7 anni. Arrivò accompagnato dalle due sorelle maggiori, dalla madre e dal padre, che aveva lavorato a diretto contatto con l’ufficio del sindaco di Santiago, è che è scappato giusto in tempo. Loro, come tanti altri, ricostruirono le loro vite da zero e cercarono di sanare ferite profonde. Non ho mai chiesto loro se quelle ferite veramente siano mai guarite. Forse non lo farò mai.
Quante fotografie in bianco e nero ho visto che uscivano dai portafogli, parenti o amici scomparsi. Volti sorridenti, giovani e non solo. Abbiamo ascoltato storie terribili. Quante persone ho incontrato strada facendo in Venezuela che dicevano a capo chino di essere cilene, ma non per vergogna bensì per tristezza, una profonda tristezza e malinconia che ho continuato a percepire sempre, latente, quando sono stata in Cile ma anche in giro per il mondo, incontrandoli. Ancora oggi penso che questa tristezza
non sia mai stata superata.
Come tutti i regimi dittatoriali, come tutti i genocidi della nostra storia, quello del Cile, come quello dell’Argentina, ha segnato profondamente il subcontinente latinoamericano negli anni settanta e ottanta, unendo ancora di più i nostri popoli. Storie che non dimenticheremo mai, immagini che ricorderemo per sempre: i bombardamenti e la distruzione della Moneda, la morte di Salvador Allende, la immagine dello stadio, gli incendi nelle strade, i militari pronti a sparare, la gente spaventata, i carrarmati per strada, il
racconto dell’assassinio di Victor Jara, i morti, i volti dei “desaparecidos”.
Atrocità. Buio. Tragedia. Morte. Ferita profonda. Il colpo di Stato in Cile è stato un crimine e su questo non ci sono dubbi.
“A mi no me lo contaron, yo lo viví, tenía 23 años y supe lo que era la democracia en este país, y estoy
aquí para decirle a los jóvenes, sobre todo a los jóvenes, a los niños, que la democracia hay que
cuidarla”.