“Stay human. Africa”. Scrivere d’Africa
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di Filippo Cinquemani
E’ da un po’ di mesi che mi occupo di questa rubrica, che scrivo sulla situazione del continente africano. Non sono mai stato in Africa e sinceramente ho iniziato a scrivere senza troppa preparazione, ma spinto dalla voglia di fare.
Nel documentarmi, mi sono imbattuto nel libro “Parlare d’Africa – 50 parole chiave” di Luca Jourdan e Karin Pallaver pubblicato dalla Carocci. Il libro analizza proprio come i mass-media parlano di Africa. Leggendo questa pubblicazione, mi sono reso conto che forse sono stato un po’ incosciente, diventare retorici è molto facile.
Il testo è una sorta di glossario, le 50 parole chiave appunto, necessarie per orientarsi nella storia e nell’attualità del continente africano. Adatto per chi, come il sottoscritto, si approccia per la prima volta o quasi, all’argomento. Un altro obiettivo del libro è di decostruire strereotipi. Gli autori si sono concentrati soprattutto sull’Africa subsahariana, ovvero l’area maggiormente interessata a luoghi comuni e rappresentazioni scorrette.
Non conosci l’Africa e vuoi saperne di più? Ti consiglio proprio questo libro. Ogni voce è volutamente breve e permette al lettore di acquisire le informazioni in modo chiaro e coinciso.
Concludo riportando passi di un saggio provocatorio di Binyavanga Wainaina (andate a vedere di chi si tratta) pubblicato su Granta nel 2005:
“Nel titolo, usate sempre le parole ‘Africa’, ‘nero’, “safari”. Nel sottotitolo, inserite termini come ‘Zanzibar’, ‘masai’, ‘zulu’, ‘zambesi’, ‘Congo’, ‘Nilo’, ‘grande’, ‘cielo’, ‘ombra’, ‘tamburi’, ‘sole’ o ‘antico passato’. Altre parole utili sono ‘guerriglia’, ‘senza tempo’,
‘primordiale’ e ‘tribale’.
Mai mettere in copertina (ma neanche all’interno) la foto di un africano ben vestito e in salute, a meno che quell’africano non abbia vinto un Nobel. Usate, piuttosto, immagini di persone a torso nudo con costole in evidenza. Se proprio dovete ritrarre un africano, assicuratevi che indossi un abito tipico masai, zulu o dogon.
Nel testo, descrivete l’Africa come se fosse un paese caldo, polveroso con praterie ondulate, animali e piccoli, minuscoli esseri umani denutriti. Oppure caldo e umido, con popolazione di bassa statura che mangia scimmie. Non perdetevi in descrizioni accurate, l’Africa è grande: cinquantaquattro nazioni e novecento milioni di persone troppo impegnate a soffrire la fame, morire, combattere o emigrare per aver tempo di leggere il vostro libro.
Il continente è pieno di deserti, giungle, altipiani, savane e molti altri paesaggi, ma questo non interessa ai vostri lettori. Fate delle descrizioni romantiche, evocative, senza esagerare con i dettagli.
Ricordatevi di dire che gli africani hanno la musica e il ritmo nel sangue e che mangiano cose che nessun altro uomo è in grado di mangiare. Non citate mai riso, carne e grano: preferite, tra i piatti tipici del continente nero, cervello di scimmia, capra, serpente, vermi, larve e ogni sorta di selvaggina. E ricordatevi anche di aggiungere che voi siete riusciti a mangiare questi cibi e anzi che avete imparato a farveli piacere.
Soggetti vietati: scene di vita quotidiana, amore tra africani, riferimenti a scrittori o intellettuali, cenni a bambini scolarizzati che non soffrano di framboesia, Ebola o abbiano subìto mutilazioni genitali. Nel libro adottate un tono di voce sommesso e ammiccante con il lettore e un tono triste, alla “era esattamente quello che mi aspettavo”.
Chiarite subito che il vostro progressismo è senza macchia e dite quanto amate l’Africa e come vi sentite in armonia con quella terra e anzi, non potete viverne lontani. L’Africa è l’unico continente che si può amare: approfittatene! Se siete uomini, descrivete le torride foreste vergini. Se siete donne, parlate dell’Africa come di un uomo in giubbotto multitasche che sparisce nel tramonto.
L’Africa è da compatire, adorare o dominare. Ma qualsiasi punto di vista scegliate, assicuratevi di dare l’impressione che senza il vostro intervento l’Africa sarebbe spacciata…”.