«LUBO» E «3000 NOTTI»: due film controcorrente
(da labottegadelbarbieri.org)
L’ultimo film di Giorgio Diritti al cinema visto da Francesco Masala. A seguire un’intervista alla regista palestinese Mai Masri (ripresa da l’antidiplomatico)
ispirato a un romanzo di Mario Cavatore (Il seminatore) Lubo è la storia di uno zingaro jenisch svizzero, artista di strada, e della sua famiglia.
quando lo costringono a fare il militare gli portano via i figli e la moglie ne muore.
Lubo fugge e cerca i suoi figli, oltre a una personale vendetta, che è l’oggetto del libro.
Franz Rogowski è sempre bravissimo, e convincente, come tutte le attrici e gli attori.
il film dura tre ore, ma neanche un minuto è in più, Giorgio Diritti fa film bellissimi o straordinari, niente di meno.
la storia è una delle tante di quegli anni a danno della popolazione jenisch, sterilizzazione delle donne e furto dei bambini, motore di questo genocidio, durato fino al 1974, è la fondazione Pro Juventute, ennesimo esempio della banalità del male.
il film non è piaciuto troppo ai critici laureati, ognuno ha i suoi gusti, ma è di sicuro un film da non perdere, non te ne pentirai.
buona (jenisch) visione – Ismaele
ps 1: un bel film italiano sugli Jenisch, di Valentina Pedicini, si può vedere QUI, e qui la recensione
ps 2: un grandissimo Franz Rogowski, in un film non apparso in Italia, è qui
ps 3: un ritratto di Mariella Mehr, poetessa jenisch, qui
INTERVISTA di ALESSABDRO BIANCHI a MAI MASRI
Girato in un carcere dismesso in Giordania, 3000 notti è il film che consacra a livello planetario la carriera della regista palestinese Mai Masri. “Nel 2015, quando è stato realizzato il film, nelle prigioni israeliane si trovavano 6000 palestinesi, uomini, donne e minori. È la storia di una di loro”, ha dichiarato in un’intervista l’autrice per descrivere la figura, divenuta iconica, della protagonista Layal, giovane palestinese arrestata senza nessun valido motivo dalle autorità israeliane e che scoprirà la sua maternità in carcere.
“Gli israeliani e la mia casa – Nablus e Shatila: Sotto le macerie” (1983); I bambini del fuoco (1990)” fanno rivivere il dramma delle donne e bambini sotto l’occupazione. In “Donne oltre le frontiere, 2004”, si ascolta Kifah Afifi rievocare la brutalità del campo di Khyam: “Sono morta cento volte ogni giorno in quella cella”, e Soha Bechara, che ha messo in gioco la propria vita per la liberazione del suo Paese, ripetere: “Non dimentichiamo la Palestina”. Amore e resistenza sono i due temi che ricorrono sempre nelle opere di Mai Masri. “I suoi film sono l’antitesi degli stereotipi che disumanizzano e tolgono i loro diritti ai palestinesi. Lei non documenta solo ciò che viene fatto subire ai palestinesi dal 1948, ma mostra chi sono veramente”, chiosa alla perfezione Victoria Brittain in un bellissimo lavoro di raccordo delle opere della regista (“Love and resistance in the films of Mai Masri”). Le immagini nei lavori dell’artista palestinese non si soffermano esclusivamente sulla disperazione e dolore, si ostinano a cercare, anche nella più grande sofferenza, l’amore e la bellezza. Viene da domandarsi come sia possibile oggi alla luce delle immagini tremende del genocidio in corso a Gaza.
In esclusiva, l’AntiDiplomatico ha avuto l’onore di rivolgere alla grande artista palestinese alcune domande sulla mattanza in corso nella sua terra e la nuova fase del conflitto in Palestina.
Da regista come vedi il ruolo del cinema rispetto allo sterminio in atto a Gaza nelle ultime settimane?
Credo nella potenza della narrazione per la nostra lotta e nel ruolo del cinema per cambiare la narrativa sulla Palestina. Sfortunatamente i principali media hanno disumanizzato il popolo palestinese e la sua lotta già da molto tempo. Il cinema può svolgere un ruolo fondamentale nel mettere in luce la sofferenza e la resistenza del popolo di Gaza di fronte al genocidio in corso. Il nostro ruolo come registi di tutto il mondo è concentrarci sulle vite, le speranze e i sogni dei palestinesi. Mentre guardiamo le immagini dal vivo di morte e distruzione provenienti da Gaza, nessuno può affermare di non sapere cosa sta accadendo. Questo è il primo genocidio televisivo della storia. Una continuazione della Nakba del 1948, quando centinaia di migliaia di palestinesi furono costretti a lasciare le loro case e la loro terra. Come regista palestinese sento la grande responsabilità non solo di testimoniare le atrocità che si stanno consumando a Gaza, ma anche di portare al mondo le nostre storie di umanità, speranza e resilienza.
Cosa pensi del boicottaggio su artisti e accademici israeliani che partecipano a iniziative organizzate e patrocinate dallo stato d’Israele? A tuo avviso la campagna BDS (Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni) era valida già prima della posizione estremista del governo di Netanyahu?
Il boicottaggio su artisti e studiosi israeliani che partecipano ad attività culturali sponsorizzate dallo stato d’Israele è uno strumento legittimo e potente contro l’occupazione e l’apartheid. E’ anche una forma di resistenza civile molto efficace, modellata sul successo della campagna mondiale di boicottaggio contro il governo razzista del Sud Africa. Il razzismo e l’apartheid sono state parte integrante della ideologia e della struttura dello Stato israeliano molto prima del governo estremista di Netanyahu. Durante le recenti proiezioni dei miei film negli Stati Uniti e in Europa, ho notato un cambiamento nell’opinione pubblica, soprattutto tra i giovani e gli studenti, molti dei quali sono ebrei e sono in prima linea nel movimento contro l’occupazione e l’apartheid. E’ incoraggiante vedere che ci sono sempre più artisti, studiosi e studenti ebrei in tutto il mondo che si oppongono all’occupazione israeliana e ai crimini di guerra contro il popolo palestinese e hanno assunto una posizione coraggiosa: “Non in nostro nome”.
L’idea di uno Stato unico laico e democratico concepita dalla Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) prima degli accordi di Oslo, con il senno di poi, sarebbe stata la soluzione più saggia? Abbiamo visto che la narrazione due Stati due popoli ha portato all’avanzamento del progetto di colonizzazione d’insediamento da parte d’Israele e un netto e tragico peggioramento delle condizioni di vita del popolo palestinese.
Ho sempre creduto in uno Stato unico laico e democratico per palestinesi e israeliani. Questa è l’unica soluzione praticabile ed equa per entrambi i popoli. C’è molta ipocrisia da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati europei che sostengono a parole la soluzione dei due Stati e non fanno nulla per attuarla. Questo ha incoraggiato Israele a continuare la sua brutale occupazione della Cisgiordania, a costruire centinaia di insediamenti illegali e a continuare ad assediare Gaza in violazione del diritto internazionale. Israele ha reso impossibile la soluzione dei due Stati. E’ tempo che il mondo prenda una posizione ferma e mantenga le promesse fatte ai palestinesi. Nonostante la tragica situazione a Gaza, sono molto fiduciosa che la Palestina sarà libera. E che questo accadrà mentre io sarò ancora in vita. Questa ingiustizia non può continuare. Nessuno potrà essere libero finché la Palestina non sarà libera.