“Chi getta semi al vento farà fiorire il cielo”
di Barbara Raccuglia
Un tintinnio arrabbiato liberato al cielo e che avanza per le strade del mondo. Chi usa un mazzo di chiavi. Chi usa la voce. Pentole fischietti e tamburi. Qualsiasi cosa pur di fare rumore, pur di farsi sentire… Per dare voce a tutte quelle donne e bambine, che insieme a Giulia Cecchettin, sono state brutalmente uccise da una cultura patriarcale e maschilista, storicamente radicata in troppi uomini e in alcune donne. Le donne vengono spesso descritte come vittime. Questo è vero, ma non dobbiamo dimenticare che siamo anche tra i principali agenti del cambiamento nelle società. Un nome a caso? Rosa Parks. Decise e determinate nel conquistare insieme agli uomini uno spazio neutro dove una nuova concezione di essere sociale possa nascere e svilupparsi. Come Vida Movahed, la ragazza di via della rivoluzione, che nel 2017, si è tolta il velo e lo ha sventolato come una bandiera bianca, in una strada centrale di Teheran, ma ad oggi ancora in carcere, con l’accusa di incoraggiamento alla prostituzione.
Eravamo in tante e in tanti alla manifestazione del 25 novembre a Milano, organizzata dal movimento ” Non una di meno”. A commuovermi è quasi sempre la vivace partecipazione maschile; a seguito del tragico fatto di Giulia, diverse migliaia di persone in vesti viola sono scese in piazza anche in Francia per condannare la violenza contro le donne. Scarpe rosse e bandiere tricolori anche a New York dove due ragazze italiane, in collaborazione con Italian Women USA Community, si sono date appuntamento in Times Square per manifestare un segnale di forte vicinanza con la famiglia Cecchettin e l’Italia. A Roma, anche Fiorella Mannoia, Malika Ayane, Noemi, Luca Zingaretti, Ferzan Ozpetec insieme ai 500 000 manifestanti. A Istanbul tentano un corteo, purtroppo bloccato dalla polizia in tenuta antisommossa; 2 mila in corteo a Madrid, con i ministri del partito socialista. Non mancano le polemiche a Genova, contro l’idea di attuare corsi di autodifesa, dove si urla la necessità di educazione e prevenzione. A Roma partecipa anche il presidente Mattarella, con il suo discorso: ” Dietro alle violenze verso le donne, il fallimento della società”; A Palermo un coro di 80 donne che cantano in dialetto siciliano la “ninna nanna di tutte le matri”; In Brasile una fila di scarpe con nomi di donne sulla spiaggia di Copacabana a Rio. Cortei in Bulgaria, Turchia, Cile e Guatemala.T ante le camminate arrabbiate, anche a Messina, Parma, Ravenna, Viareggio, Trieste, Udine. A Rimini sfilano in 5 mila con 106 palloncini rossi.15 mila a Torino. In 30 mila ci arrabbiamo da Largo Cairoli fino in Duomo, a Milano.
” Quando esco voglio essere libera, e non coraggiosa.” Recita uno dei tanti cartelli, che faccio anche mio.
Sono tante le donne che si sono rispecchiate nella storia di Giulia Cecchettin, e grazie alla diffusione dei suoi messaggi vocali, sempre più donne stanno prendendo consapevolezza di ritrovarsi in qualche modo vittime di atteggiamenti manipolatori e aggressivi. Lo affermano i centri antiviolenza che hanno visto in questi giorni l’intensificarsi di segnalazioni.
Perchè è stato scelto proprio il 25 novembre come giornata mondiale contro i femminicidi e la violenza sulle donne? Per la storia di tre sorelle, Minerva e Maria Teresa Mirabal, che in data 25 novembre 1960 sono state violentate, seviziate e barbaramente uccise su ordine del dittatore Rafael Leonida Trujillo, nella Repubblica Dominicana. Le coraggiose LAS MARIPOSAS (Le Farfalle), nome in codice da loro usato, per le loro battaglie in nome della libertà e in opposizione al regime sanguinario e maschilista.
L’uccisione delle tre sorelle Mirabal, contrariamente alle previsioni del dittatore, scosse le coscienze e Las Mariposas divennero un simbolo di forza e di resistenza. Nel 1980 durante il primo Incontro Internazionale Femminista in Colombia, la Repubblica Domenicana propose come emblema della violenza contro le donne il triplice assassinio delle sorelle Mirabal. Nel 1999 l’assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, ha designato il 25 novembre come Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in onore de Las Mariposas.
Se domani non rispondo alle tue telefonate, mamma.
Se non ti dico che torno per cena.
Se domani, mami, vedi che il taxi non arriva.
Può darsi che io sia avvolta nelle lenzuola di un albergo,
su una strada, o in un sacco nero (Mara, Micaela, Majo, Mariana).
Può darsi che sia in una valigia o abbandonata su una spiaggia (Emily, Shirley).
Non spaventarti, mamma, se vedi che mi hanno pugnalata (Luz Marina).
Non urlare se vedi che mi hanno trascinata (Arlette).
Mammina, non piangere se ti dicono che mi hanno impalata (Lucía).
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato,
che erano i miei vestiti, che era l’alcol nel mio sangue.
Ti diranno che è stato per l’orario, perché ero da sola.
Che quello psicopatico del mio ex aveva dei motivi,
che lo avevo tradito, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma,
che mi ero permessa di volare troppo in alto in un mondo senz’aria.
Ti giuro, mamma, che sono morta combattendo.
Ti giuro, cara mamma, che ho urlato davvero forte mentre volavo.
Si ricorderà di me, ma’, saprà che sarò stata io a rovinarlo,
quando mi riconoscerà nel volto di tutte quelle che gli urleranno contro il mio nome.
Perché so, mamma, che tu non ti arrenderai.
Però, per quanto tu possa volerlo fare, non imbrigliare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non vietare niente alle tue nipoti.
Non è colpa loro, mamma, così come non è stata nemmeno colpa mia.
Sono loro, saranno sempre loro, gli uomini.
Lotta per le loro ali, visto che le mie me le hanno tagliate.
Lotta perché siano libere e possano volare più in alto di me.
Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho fatto io.
Mammina, non piangere sulle mie ceneri.
Se domani sono io, mamma,
se domani non torno, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
{Cristina Torres-Cáceres — Se domani non torno}. A Giulia.
* Nel titolo una poesia di Ivan http://www.i-v-a-n.net/