“LibriLiberi”. La famiglia Karnowski. Per il Giorno della Memoria
di Alessandra Montesanto
David Karnowski intellettuale illuminista, orgoglioso e convinto ebreo, decide di lasciare lo shtetl polacco (piccoli insediamenti cittadini dell’Europa orientale per lo più abitati da ebrei) in cui vive con sua moglie Lea, per trasferirsi nella Berlino di inizio ‘900. La ragione fondamentale della sua scelta è una certa insofferenza per l’inadeguatezza della cultura ebraica di Melnitz, troppo antica e per nulla vicina al pensiero libero moderno, che David Karnowski riconosce, invece, alla capitale tedesca in quanto patria del filosofo ebreo tedesco Moses Mendelssohn.
L’arrivo a Berlino ha risvolti diversi per David e per sua moglie Lea. Il primo, fiero e orgoglioso del nuovo inizio, si butta a capofitto negli affari e nella frequentazione degli ebrei tedeschi più affermati e importanti, imparandone la lingua a menadito e circondandosi dei rabbini più influenti della città. Lea, al contrario, soffre per l’isolamento in cui si sente confinata in terra straniera, e trova un po’ di consolazione quando scopre di aspettare il suo primogenito, Georg, e dall’incontro inaspettato con suoi connazionali di Melnitz, Solomon Burak e sua moglie Ita, commercianti di successo.
La tranquillità di David viene però messa a dura prova dalla crescita di suo figlio che, sin da bambino, non capiva le attenzioni di sua madre per certe tradizioni o il fervore culturale per l’ebraismo del padre. Ben presto smetterà di studiare l’ebraismo, odierà la scuola e se ne andrà di casa.
Ma non tutto è perduto e Georg da ragazzino ribelle e anticonformista si trasforma in un giovane innamorato che, finalmente, riesce a trovare la sua vera vocazione. L’incontro fatidico è con l’anziano dottor Landau e sua figlia Elsa, studentessa di medicina. Ottenuta la laurea in Medicina, Georg parte per il fronte, distinguendosi come medico e chirurgo. Al ritorno in patria, sfumate tutte le speranze di un matrimonio con Elsa, Georg si dedica totalmente al lavoro in un’illustre clinica ginecologica berlinese, in cui incontra l’infermiera Teresa Holbek, una gentile, una tedesca, con cui decide di sposarsi. Dall’unione dei due giovani e delle loro origini nasce il piccolo Joachim Georg Karnoswki, per tutti Jegor. Le sue radici miste si manifestano in tutti i tratti del suo aspetto, a partire dal nome (fusione di quello del nonno materno tedesco e del padre ebreo), all’aspetto fisico (occhi azzurri e pelle chiara degli Holbek, ma capelli neri e naso marcato dei Karnowski) e infine al temperamento. Jegor, infatti, ispirato molto da suo zio Hugo Holbek, ex soldato e fondamentalista tedesco.
La situazione familiare degenera quando, dopo anni di sofferenze e sempre maggior isolamento a causa delle leggi razziali, la famiglia Karnowski ottiene il visto per sbarcare in America. Jegor non si ambienterà mai a New York, eviterà sistematicamente di entrare in contatto con la comunità ebraica lì presente, andrà via di casa e si rifugerà nell’unico quartiere newyorkese abitato da tedeschi. Questa scelta rappresenterà l’inizio della fine.
La famiglia Karnowski (edito da varie case editrici in Italia, tra cui Adelphi), è un racconto che ha il potere di mettere in luce diverse realtà delle vicissitudini della popolazione ebrea nel secolo scorso, collocando gli eventi negli anni che precedono l’Olocausto, le persecuzioni tedesche e le leggi razziali. Il tentativo degli ebrei oriundi di plasmarsi a immagine e somiglianza della popolazione germanica è lo stesso di quello di quasi tutti gli ebrei polacchi verso gli ebrei tedeschi, primo fra tutti David Karnowski. La figura di Solomon Burak, invece, mantiene alta e con fierezza la propria origine e capisce che con l’inizio del Terzo Reich gli ebrei tedeschi, che inizialmente voltano le spalle agli ebrei polacchi e a tutti i “non” tedeschi residenti a Berlino, sono solo e soltanto persone ebree da perseguitare agli occhi dei tedeschi “ariani”.
Il romanzo ha reso famoso, nel nostro Paese, il grande Israel J. Singer, fratello maggiore di Isaac B. Singer, più celebre grazie al Nobel per la Letteratura conferitogli nel 1978 e molti sono, se lo si legge in questa chiave, i riferimenti all’attualità e al pericolo di una nuova deriva dei nazionalismi così come a sentimenti universali. Ogni lettrice o lettore può identificarsi con un personaggio, anche con quello maggiormente negativo, perchè la capacità dei bravi autori consiste nel saper tratteggiare ogni tipo umano e ogni sfumatura dell’animo così come Singer, ad esempio, spiega (ma non giustifica) le scelte esistenziali di Jegor. Come non pensare, ad esempio, ai giovani di nuova generazione, che si sentono stranieri nella patria di origine e in quella di residenza? Come non individuare nell’invidia personale e in un sistema economico-politico escludente l’humus della competizione che, estremizzata, sfocia nella volontà di eliminazione addirittura dell’identità di interi gruppi etnici o religiosi? L’ingiustizia sociale, la paura della perdita dei propri punti di riferimento, la mancanza di un orizzonte spirituale caratterizzano il recente Passato e la contemporaneità ed ecco il motivo per cui è importante leggere o rileggere i classici, tornare a frequentare la Cultura alta, non necessariamente solo occidentale – Letteratura, Cinema, Teatro – quesi testi che tramite la parola scritta, parlata, recitata, restituiscono un’immagine di ognuno e di tutti veritiera e franca. Israel J. Singer, approfondendo in questo racconto il tema della relazione con un “padre” – qualunque esso sia e secondo la psicologia il rapporto, quindi, con la Regola etica o morale – ci guarda con sincerità e con una dolce empatia, lui in quanto Uomo tra gli Uomini, definendo il confine tra Bene e Male, ma lasciando uno spiraglio aperto a quella flebile luce, così cristiana, che si chiama “speranza”. C’è chi dice che la speranza sia deleteria perchè illude di un mondo che mai sarà, delegandole l’onere. Chi scrive, invece, pensa che speranza e impegno possano camminare una a fianco all’altra, mantenendo i piedi per terra e la testa in cielo di fronte alla Storia che si ripete e ai princìpi che si sgretolano.
“Non avrebbe mai permesso che suo figlio fosse sottoposto a una cerimonia barbara solo perchè mille anni prima Abramo aveva promesso a Dio di circoncidere la sua discendenza di sesso maschile. Che legame c’era tra lui, un dottore, nato e cresciuto nel cuore dell’Europa occidentale, e gli antichi costumi e rituali di sangue di un patriarca?”.
“Gli ebrei russi a loro volta facevano un’ulteriore distinzione tra chi aveva i documenti in regola e chi no”.
“Si vergognava del suo paese, del suo popolo, di suo figlio Hugo che era un membro del Nuovo Ordine, ma soprattutto di se stessa per aver provato odio verso i Karnowski e i loro simili, anche se non aveva mai osato dar voce a quei sentimenti”.