“Buone notizie”. Dalla tossicodipendenza si PUÒ uscire!
A cura di Martina Foglia
Come ci dimostra questa intervista, dalla tossicodipendenza si può uscire con l’aiuto di professionisti qualificati a cui affidarsi, acquisendo consapevolezza in se stessi, riconoscendo i propri errori ed imparando da questi! La storia di Valerio insegna che con la determinazione e la costanza si possono affrontare percorsi dolorosi e difficili e iniziare una nuova vita!
Vuoi presentarti ?
Sono Valerio ho 41 anni e vivo a Pavia. Come lavoro faccio l’educatore presso la “Casa del Giovane” di Pavia in una struttura chiamata “Casa accoglienza”, una comunità terapeutica e specialistica per ragazzi che vanno dai 14 ai 25 anni.
Quando e perché sei entrato in comunità?
Sono entrato in comunità per la prima volta a diciotto anni, esattamente nel 2000. Ero molto giovane, ma mi sono reso conto che avevo un problema con la cocaina di cui non riuscivo più a farne a meno. Ho chiesto aiuto allla mia assistente sociale dell’ epoca che mi ha indirizzato al Sert di zona; in due mesi sono riuscito ad entrare in comunità.
So che oggi fai il mestiere di educatore nella stessa comunità che ti ha accolto da giovane: cosa ti ha spinto a fare questa scelta? Raccontaci in breve le tappe salienti del tuo percorso
Ho scelto di tornare a lavorare con i ragazzi per cercare di mettere al servizio la mia esperienza di dipendenza e disagio, sperando possa essere loro da stimolo.
All’epoca ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada persone che mi hanno accolto e supportato durante il mio percorso senza mai giudicarmi, anche nei momenti più difficili mi hanno sempre sostenuto, facendomi sentire parte di una famiglia allargata e questo mi ha permesso di fidarmi e di conseguenza di sperimentare cose nuove come, ad esempio, relazioni sincere ed è quello che cerchiamo di fare anche oggi.
Quali attività esistono per il reinserimento di questi ragazzi all’interno della società?
Per il reinserimento dei ragazzi sinceramente siamo un po’ carenti; ci sono borse lavoro e tirocini che avviano al lavoro perchè, dato che sono per la maggior parte giovani, sono a carico della famiglia e pochi cercano una vera indipendenza al di fuori del nucleo familiare. Per chi finisce il percorso di riabilitazione si stabiliscono degli incontri di verifica mensili per monitorare l’andamento.
Come comunità aiutate concretamente e periodicamente i ragazzi del parco di Rogoredo (nel milanese): cosa fate in particolare? Siete riusciti a salvare qualcuno di loro?
Come comunità accogliamo chi dal “bosco di Rogoredo” vuole provare ad uscire e in questo momento abbiano due ragazzi che sono in comunità da più di un anno e stanno molto bene; negli anni ne abbiamo accolti parecchi, alcuni hanno mollato altri no.
Pensi che da parte delle istituzioni ci sia il giusto supporto per il lavoro che fate?
Le istituzioni concretamente fanno ben poco per supportare il lavoro che facciamo; Rogoredo per esempio è un servizio di volontariato dove le istituzioni non ci aiutano minimamente e tutti i costi sono a carico dei volontari.
Avete anche realizzato un documentario che racconta il percorso di chi entra all’interno della comunità e il lavoro che viene regolarmente svolto per aiutare questi ragazzi… Ci vuoi raccontare come è nata l’idea, come hanno reagito i ragazzi?
Lo scorso anno abbiamo girato questo documentario intitolato “Scaltri ingenui”. E’ nato per caso: un operatore ci ha fatto conoscere questo regista (Fabio Longagnani) che è venuto in comunità e si è appassianotato e incuriosito delle storie degli utenti e degli operatori, ha trascorso alcuni mesi da noi. I ragazzi hanno partecipato entusiasti al progetto e sono stati coinvolti in prima persona, c’è chi ha raccontato il proprio percorso e chi ha dato una mano al regista dietro le quinte. La cosa bella è che molte scuole hanno dedicato alcune mattinate alla proiezione del documentario con le testimonianze dei ragazzi stessi.
Quali sono le tue più grandi soddisfazioni? Cosa hanno imparato o imparano i ragazzi da te e tu da loro?
La più grande soddisfazione nel lavoro che faccio è vedere “rifiorire” molti di questi ragazzi, quando si lasciano aiutare e cominciano a fidarsi. É un percorso quotidiano che fai con loro e molto faticoso, ma allo stesso tempo, quando vedi che si “accende” quella fiammella di speranza in loro e cominciano a star bene è fantastico. Da loro imparo un sacco di cose: una su tutte, l’entusiasmo che hanno giovani. Io cerco di portare un po’ di speranza e dò loro anche fiducia
In base alla tua esperienza cosa ti senti di dire ai ragazzi di oggi per evitare che prendano strade pericolose? Il tuo motto è?
Ti direi che il mio motto è: “Vai avanti e non mollare”, nel senso che tante volte qualcuno ti fa vedere una strada che non hai mai preso e ti senti perso e vulnerabile e ti verrebbe voglia di lasciar perdere il percorso, invece è lì che devi fidarti e affidarti! Poi un bel giorno cominci a vedere “la luce” e sei talmente contento che ti dici: “Meno male che in certi momenti non ho mollato”
Credo che non ci sia altro da aggiungere a questa bellissima intervista … Posso solo dire che è una fortuna il fatto che esistano strutture come questa che danno la possibilità a molti giovani, anche minorenni, di iniziare una nuova vita. E voglio concludere con una frase di Tiziano Terzani: “l’unica rivoluzione possibile è quella dentro di noi”.