“LibriLiberi”. Il selvaggio
di Alessandra Montesanto
Selvaggio. Sarò il selvaggio.
Non mi fermeranno.
Se devo vendicarmi, mi vendicherò
Se devo perdonare, perdonerò.
Se devo amare, amerò.
Se devo cedere, cederò.
Se devo combattere, combatterò.
Mi è chiaro che sarà la vita – non la morte – a guidare le mie decisioni.
Darò la vita per la vita, sempre per la vita.
Un romanzo lungo, più di 700 pagine, framezzato da poesie, elenchi, lettere, parole apparentemente sconnesse e anche di leggende e tradizioni appartenenti a molti popoli riguardanti il culto dei morti, ma una prosa perlopiù piana in cui si raccontano due vicende: quella di Jaun Guillermo e quella di Amaruq, il primo è un ragazzino che vive in un quartiere degradato di Città del Messico e il secondo è un giovane indigeno dello Yukon.
Guillermo Arriaga è noto per aver scritto gli script di film di successo quali: Amores perros, 21 grammi, Babel e Le tre sepolture; ha co-sceneggiato Ti guardo, opera vincitrice del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia. Si sente, in effetti, la scrittura per immagini anche nei suoi romanzi e, in particolare, in quest’ultimo intitolato Il selvaggio (edito da Bompiani) dove i paesaggi – urbani e naturalistici – avvolgono, quando non triturano, i personaggi fino quasi a scarinificarli, a volte ad ucciderli, spesso a metterli alla prova come moderni Giobbe che chiedono a Dio se c’è e cosa ci stia a fare di fronte alle sofferenze umane.
Fin dalla primissima infanzia, infatti, Juan Guillermo ha avuto a che fare con la morte: l’amato fratello Carlos viene brutalmente ammazzato da un gruppo di ragazzi ultracattolici, fanatici, vicini alla mentalità e alla pratica nazifascista; i genitori del protagonista si lasciano cadere con un’auto in un burrone; rimasto solo e gelosissimo di Chelo, una bella ragazza affetta da “disperazione”, tenterà la vendetta per i propri cari.
Amaruq è ossessionato dal fantasma del nonno che gli intima di compiere una missione: quella di cacciare un grande e maestoso esemplare di lupo, dal nome inuit quasi impossibile da pronunciare, ma soprannominato “il selvaggio” per il suo essere indomito.
Entrambi i giovani uomini, in epoche e ambienti diversi, saranno costretti a lottare con il corpo e con la propria coscienza, circondati dalle brutture della realtà e dalle difficoltà imposte dal voler portare a termine, a tutti i costi, i dettami della volontà, sia che venga dalla propria anima, sia che provenga dal proprio mentore.
Arriaga muta i registri di scrittura, coinvolgendo il lettore nelle violenza cruda che attanaglia la breve vita di Juan Guillermo, del suo “habitat”, della maggior parte delle persone con cui ha a che fare, mentre rende epico e poetico il racconto dell’altro protagonista, al principio solo con la belva e con il proprio avo, nella pratica di sciamanesimo che viene indotto a terminare con enorme paura, dolore fisico e prostrazione.
Centellina, lo scrittore, la storia di indizi, di semi che fanno riflettere sull’idea che i fatti narrati abbiano un significato metaforico, come accade per la Bibbia o per ogni testo sacro, perchè la morte e la vita sono molto evidenti, ma è il nostro rapporto con questi concetti ad essere analizzato in una forma esasperata dalla fantasia, ma veritiera. Chi di noi ha avuto il coraggio di addomesticare un lupo? Quanti saremmo in grado di provare pìetas per il peggior assassino? E come consideriamo la persona amata? Interessante anche attribuire un ruolo ai personaggi comprimari, donne, uomini, bambini che, di volta in volta, si fanno aiutanti, antagonisti, alter-ego o guide spirituali nel grande teatro dell’esistenza.
Tanti gli spunti su argomenti universali, calati però in contesti diversi, lontani e vicini che, nell’epilogo, si riconciliano in una struttura circolare affascinante; proprio il cerchio che è simbolo del Tempo cosmico, della Vita che si rinnova, della possibilità di una catena di solidarietà tra animali e della concorrenza tra i quattro elementi nel costruire l’armonia. Un’armonia che, prima di tutto, è bene trovare dentro di noi e poi con chi consideriamo “altri”.
Ottima lettura, quindi, accattivante, colta, coinvolgente e ricca di strumenti di introspezione.
“Conclusi che nei prematuri il corso evolutivo s’interrompe. Così, chi nasce prima del tempo lo fa in un momento intermedio fra uomo e animale. E sebbene la socializzazione e la cultura rimedino a questa mancanza di sviluppo uterino, in noi prematuri rimane la traccia perenne dell’animalità”.
“Dopo aver spezzato la nuca a centinaia di cincillà conclusi che Spinoza aveva ragione. La tigre vuole rimanere tigre, la pietra la pietra, il cincillà il cincillà, l’uomo, l’uomo. E’ l’istinto di conservazione a prevalere, non la tendenza alla morte. Di qui il terrore nella sua forma più pura: la paura di morire”.
“Non c’era più nella che mi legasse alla cupa barca dei miei morti. Gli unici oggetti della mia vita precedente erano rimasti in salvo nelle valigie che mi ero portato a casa di Sergio. Il resto era svanito nel fuoco. Fuoco purificatore che mi aveva liberato dal peso del passato. Niente più catene. Libero”.