Il ragazzo dai pantaloni rosa
Teresa e Tommaso vivono a Roma, all’inizio vanno d’accordo, ma col tempo il loro rapporto si deteriora, anche a causa di problemi economici, ma vogliono far studiare i propri figli e, infatti, Andrea, il maggiore, studia presso un liceo. Il film narra la vicenda di questo ragazzo, dalla sua nascita al tragico epilogo.
Recensione uscita per la rivista Il ragazzo selvaggio del Centro Studi Cinematografici di Roma
di Alessandra Montesanto
Colto e sensibile, Andrea ama cantare, tanto da saper intonare l’Ave Maria di Schubert; è attento agli altri e vorrebbe fare colpo sul compagno Christian, il più popolare della scuola e anche il più prepotente per cui, una mattina, risponde male a un professore e da quel momento tra i due si crea un legame: fanno i compiti insieme, si allenano sulla pista di atletica, frequentano il coro. Ha anche un’amica, Sara, con cui condividere cinema e confidenze.
Andrea è un ragazzino-modello, ma è stravagante: indossa spesso un paio di pantaloni rossi che, per un errore della madre nel lavarli, perdono il colore e diventano rosa e da quel giorno il ragazzino inizia ad essere vessato dai compagni e dal capobranco, Christian.
Il 20 novembre 2012, a soli quindici anni decide di togliersi la vita.
Teresa, ormai separata dal marito, scoprirà solo in seguito la pagina Facebook su cui il figlio veniva sistematicamente dileggiato e da allora si impegna a sensibilizzare i giovani sui temi del bullismo e del cyberbullismo: come fanno ancora oggi molti genitori che trasformano il dolore in salvezza.
Quello di Andrea Spezzacatena è stato il primo caso in Italia di bullismo e cyberbullismo che ha avuto come conseguenza il suicidio di un minorenne.
Il film di Margherita Ferri gioca con le linee temporali: è un voce fuori campo, quella di Andrea che oggi avrebbe 27 anni, ad iniziare il racconto della sua breve vita: “Oggi avrei avuto 27 anni. Avrei avuto. Se non avessi avuto l’idea di…” e così, a partire dall’incipit, lo spettatore viene coinvolto emotivamente in quella che è una storia che sentiamo quasi quotidianamente perchè, purtroppo, il caso di Andrea non ha insegnato nulla ai giovani e poco a noi adulti; ecco il motivo di trasporre sul grande schermo ciò che i genitori, la madre Teresa in particolare, hanno scritto in un libro dedicato alla vicenda.
Proprio con la mamma il ragazzino aveva un rapporto intenso, forse in quanto entrambi anticonformisti e amanti della musica: cantano spesso insieme il loro brano preferito, a sottolineare una forte complicità e una comune sensibilità.
Si segue la storia di Andrea dal momento in cui viene partorito e, come tutti, inserito in un mondo in cui, per sopravvivere, dovrà imparare a respirare in autonomia, ma per lui il percorso è stato decisamente più tortuoso. Fin da bambino deve fare i conti con la sofferenza interna al nucleo familiare, sente la responsabilità di proteggere la madre e il fratello Daniele e, alla scuola media, inizia anche a rapportarsi con una socialità gratuitamente aggressiva. Il peggio, però, arriva con la frequentazione del liceo. Da un anno all’altro i giovani cambiano con velocità, iniziano a scoprire il proprio corpo e le proprie pulsioni e Andrea vorrebbe relazionarsi con il ragazzo più estroverso della classe, Christian, bello e dal fascino ambiguo, così come saranno ambigui i gesti tra i due che si muovono sul limine tra eros e amicizia. A proposito del personaggio-antagonista, è interessante l’approccio della sceneggiatura che non lo giudica del tutto come colui che ha indotto Andrea a togliersi la vita, ma che lo considera come un altro adolescente confuso, impaurito perchè non si conosce ancora a fondo e non è in grado, quindi, di gestire la rabbia che vorrebbe, in realtà, rivolgere a se stesso.
Contraltare di Christian, è l’altra figura femminile importante nella vita di Andrea: l’amica Sara con la quale, non a caso, guarda Jules e Jim di Truffaut – in un bel gioco metacinematografico – ma che, nonostante la dolcezza e l’apertura mentale – non avrà gli strumenti per salvarlo.
La città di Roma resta sullo sfondo, senza particolare connotazione, forse perchè queste situazioni si verificano ormai ovunque e ovunque ragazze e ragazzi non si sentono liberi di confidarsi con genitori, insegnanti, educatori, etc. e questo è un problema che ci riguarda e che dobbiamo considerare con maggiore onestà.
Pensiamo al senso di colpa di Teresa Manes che, a causa di un lavaggio sbagliato di un paio di pantaloni (errore umanissimo) forse ha creduto, a lungo, di aver accelerato la decisione del figlio; pensiamo all’angoscia di Andrea inespressa, al senso di responsabilità che lo ha accompagnato per tutta la sua vita a tal punto da voler scomparire per stanchezza e per vergogna.
Pensiamo anche ai bulli: alla loro solitudine che riempiono con parole (e azioni) vuote, come vuota è già la loro anima.