Polis Aperta, forze dell’ordine e omosessualità
Sono Emanuele Crociani, coordinatore del gruppo LGBT+ Varco, una realtà che opera nelle chiese protestanti milanesi: insomma, un gruppo di minoranza in una confessione di minoranza. Ma oggi vorrei parlarvi di tutt’altro. Ho intervistato due appartenenti ad una piccola realtà LGBTQ, l’associazione Polis Città Aperta, formata da appartenenti alle Forze dell’Ordine. E’ una realtà numericamente piccola ma non per questo poco importante, e perciò sento come un dovere dare voce a queste coraggiose persone. PER I DIRITTI UMANI ha acconsentito a pubblicare l’ intervista di M.L., appartenente alla polizia penitenziaria.
Quando hai scoperto di essere parte della comunità LGBTQ?
Ho scoperto di essere gay molto presto, nell’età adolescenziale, età già difficile per ogni ragazzo ma ancor a più complicato se credi di essere “diverso” da tutte le altre persone che ti circondano. Nascondere la propria identità alla famiglia, agli amici alle persone che ti sono vicine è molto difficile se poi, parliamo dei primi anni ’80 del secolo scorso, in un contesto sociale come quello di un paese molto piccolo della provincia di Viterbo era ancora più complicato. Per mia fortuna sia i miei amici che la mia famiglia sono stati molto “inclusivi”, come si usa dire oggi. Il Mio coming out è avvenuto all’età di 18 anni con i miei amici più cari e dopo circa 40 anni sono ancora i miei amici più cari. Anche alla mia famiglia ad un certo punto della mia vita ho dichiarato la mia omosessualità e anche con loro le cose sono andate bene. Quindi posso dire che grazie a questo ovvero, all’affetto delle persone a me più care e al loro sostegno sono riuscito a dichiarare apertamente la mia “diversità” anche sul lavoro.
Cosa ti appassiona di più nel tuo lavoro?
La scelta del lavoro che svolgo non è stata una scelta consapevole, non volevo certo diventare un agente di Polizia Penitenziaria, ma questo lavoro mi ha permesso di essere autonomo economicamente, emanciparmi dalla mia famiglia e vivere in una città come Milano. Ho sempre avuto l’idea che il lavoro sia una cosa “sacra” e che va sempre rispettato qualunque esso sia. All’inizio della mia carriera, avevo 24 anni, le cose non sono state semplici lavoro nuovo e colleghi di lavoro sconosciuti. Ma soprattutto lavorare in un istituto Penitenziario. Un luogo chiuso e quasi completamente impermeabile al mondo esterno. Quindi all’inizio è stata dura ma poi con il tempo ho acquisito una diversa consapevolezza del mio ruolo e del lavoro, sicuramente non facile, perché quando si ha a che fare con “materiale” umano è sempre molto complicato. Negli anni anni ho lavorato in diversi istituti, sempre a Milano, e questo mi ha permesso di avere una visione a 360 gradi del lavoro che svolgo. Credo che ci sia molto poco di affascinante nel lavorare in “galera” quello che è certo che anche in un ambito così fortemente negativo si riesce a trovare molta umanità.
Cosa significa essere una persona LGBTQ nell’ambito delle Forze Armate?
All’inizio della mia carriera lavorativa avevo paura che i miei superiori scoprissero la mia “diversità” e che per questo venissi allontanato o addirittura licenziato, per cui nascondevo a tutti i miei colleghi la mia vita privata. Poi con il tempo ho scoperto che, non ero certo l’unico poliziotto gay che lavorava in un istituto penitenziario: sul lavoro parlavo poco della mia vita privata ma vivendo a Milano ho iniziato a frequentare locali gay e a intrecciare conoscenze che poi sono diventate delle vere e proprie amicizie. Sono riuscito a separare la mia vita lavorativa da quella privata. Solo 20 anni fa ho fatto coming out con la mia Direttrice di allora, la quale non ha battuto ciglio, dicendo che per lei non era certo un problema. Da allora in tutte le sedi di servizio dove ho lavorato e dove tutt’ora lavoro non ho avuto più problemi a dichiararmi, se mi veniva chiesto per esempio se fossi o meno sposato alla mai risposta che ho un compagno nessuno ha mai apertamente detto o fatto cose discriminanti.
E cosa significa essere un appartenente alle Forze armate nell’ambito del mondo LGBTQ?
Fino a qualche anno fa non c’è mai stato nessun problema ovvero, essere gay e appartenere al mondo LGBT+ e lavorare come Agente di Polizia Penitenziaria non è stato mai un problema. Quando conoscevo nuove persone e dicevo quale era il mio lavoro nessuno si meravigliava o aveva atteggiamenti ostili. In questo momento storico invece alcune frange più estreme del movimento LGBT+ hanno manifestato apertamente una vera e propria avversione per gli appartenenti alle forze di polizia e militari LGBT+. Per questo, per quello che è il mio pensiero la maggior parte delle associazioni LGBT+ hanno un atteggiamento sereno e riconoscono che a prescindere dal lavoro che uno svolge se uno aderisce alle battaglie di riconoscimento dei diritti delle personale LGBT+ viene considerato “alleato”. Mentre, le frange più estreme e a mio parere meno rappresentative del mondo LGBT+ sono molto ostili alle persone LGBT+ appartenenti alle forze dell’ordine e questo naturalmente non aiuta perché le battaglie per il riconoscimento dei diritti LGBT+ sono di tutta la comunità e non solo di una parte discriminando così chi viene reputato “non conforme” e anzi visto come un nemico da combattere.
Qual è il momento più emozionante che hai vissuto con l’associazione Polis Città Aperta?
Ho conosciuto PolisAperta nel 2015, per il tramite di un mio collega della Polizia di Stato che a sua volta aveva saputo dell’associazione in maniera del tutto casuale. La prima volta che ho incontrato altri colleghi iscritti all’associazione è stato durante un convengo organizzato a Torino. Ricordo che in quell’occasione ho pensato che finalmente avevo la possibilità ci confrontarmi con altri colleghi LGBT+ e scambiare opinioni ed esperienze durante l’attività lavorativa. Ho provato un forte sensi di appartenenza e di condivisione di obiettivi da raggiungere. Da allora sono passati 10 anni e continuo a provare gli stessi sentimenti e le stesse emozioni.