“Adelmo e gli altri”: confinati durante il fascismo
di Filippo Cinquemani
Quest’anno per la Giornata della Memoria ci occupiamo di confino, qualcosa di non completamente sconosciuto, ma nemmeno troppo approfondito e raccontato. Il confino, in particolare, di uomini gay durante il fascismo.
Molti famosi film, italiani e non, raccontano la Shoah, ma del confino c’è un breve accenno solo nel film “Una giornata
particolare”.
Il professor Cristoforo Magistro, appassionato di storia della Basilicata, ha svolto, con la collaborazione di Agedo
Torino, una ricerca documentaria e iconografica presso gli Archivi di Stato di Potenza e Matera.
Nasce cosí la mostra e poi il libro “Adelmo e gli altri”.
In questa intervista, l’autore, ci spiega di più a riguardo.
Come nasce il progetto e la collaborazione con Agedo?
Il progetto ADELMO è nato nell’ambito delle mie ricerche sui confinati in Basilicata. In particolare, sui confinati
comuni dei quali la ricerca storica si è occupata pochissimo. Esaminando a tappeto il ricchissimo fondo dell’Archivio di Stato di Matera loro dedicato, mi sono reso conto che c’erano moltissimi confinati per omosessualità. A quel punto ho deciso di approfondire la questione ed è nata nel 2015 la prima mostra foto-documentale fatta con mezzi modestissimi -stampe su fogli A3- esposta presso Casa Arcobaleno, la sede di Agedo Torino. Nel 2017, grazie all’interesse del Servizio LGBT del Comune di Torino, la mostra è stata trasposta su pannelli e ospitata dal Polo del Novecento di Torino e in seguito in prestigiose sedi di molte altre città. Più di quaranta ad oggi.
L’attenzione dedicata alla mostra da molti organi di stampa e le sollecitazioni ricevute da Agedo e da vari amici mi hanno poi indotto ad approfondire ulteriormente la ricerca e di farne il libro che ha visto la luce nel 2019 grazie all’editore Ombrecorte di Verona, è stato
intitolato «Adelmo e gli altri. Confinati omosessuali in Lucania» e ha avuto l’autorevole
prefazione di Lorenzo Benadusi, il pioniere degli studi sul tema.
In totale il libro presenta oltre quaranta casi, più di quelli ospitati nell’arcicelebrata San Domino, l’isola dei femminielli. Rivendico a suo merito l’aver dimostrato che la popolazione dei paesini lucani, per tanti versi fra le più arretrate d’Italia, accolse fraternamente i
confinati omosessuali. Come, verosimilmente, avrebbero fatto dovunque, a dimostrazione
del fatto che, come sempre, la gente ha più testa e più cuore di chi la governa.
Cosa puoi dirci del confino?
Il confino fu la misura che rese evidente agli occhi di tutti la natura dittatoriale del regime
fascista. Nel 1931 l’Enciclopedia Treccani ne dava la seguente definizione:
A differenza delle sanzioni penali vere e proprie, il confino non richiede una responsabilità giudizialmente accertata per fatti considerati dalla legge come reati, ma soltanto una condotta tale da produrre un pericolo effettivo alla sicurezza pubblica o all’ordine politico, e
tale da consigliare l’autorità a togliere il soggetto pericoloso dal luogo della sua residenza e sottoporlo a particolare vigilanza per un periodo di tempo che può variare da uno a cinque anni.
Grazie a questo “capolavoro” il regime si assicurò il “rispetto”, dettato dalla paura, di tutti gli italiani poiché come ebbe a dire con la consueta lucidità Emilio Lussu: il pericolo di esservi mandati sovrasta su tutti. Esso rende al fascismo molto più che non la stessa pena inflitta. La pena è per pochi, la minaccia è per tutti. La legge specifica parecchie categorie di avversari del Regime che possono essere condannati al confino. E’ uno svago puramente didascalico. Il fatto è che vi possono essere mandati tutti, perché non solo la legge, ma la stessa interpretazione della legge, è rivoluzionaria. […] Ciò che conta non è il testo della legge scritta, ma la possibilità di applicarla quando più piaccia.
La sua istituzione, nel novembre del 1926, diede luogo in ogni provincia alla creazione di una speciale commissione presieduta dal prefetto che con criteri discrezionali emanava ordinanze di condanne variabili da uno a cinque anni. Mussolini considerava il confino un modo “molto intelligente” per fare repressione e, parlandone alla Camera, nel maggio del 1927, sostenne:
Non è terrore, è appena rigore. E forse nemmeno: è igiene sociale, profilassi nazionale: si levano dalla circolazione questi individui come un medico toglie dalla circolazione un infetto.
Uno dei morbi che il suo programma di profilassi doveva combattere era l’omosessualità, qualcosa che si situava fra malattia e vizio e di cui era meglio non parlare. Nell’Italia fascista, che della virilità aveva fatto un mito, ufficialmente non esisteva e quindi fare una legge che la punisse avrebbe significato ammettere che le cose stavano diversamente.
Negata a parole l’omosessualità, si rendeva però necessario nascondere gli omosessuali.
In qualche caso si cercò di “curarli” chiudendoli in manicomio, ma la cura costava e gli esiti erano assai incerti. Ci si accontentò allora di isolarli per prevenire il “contagio che da essi poteva venire e di renderli invisibili ai più mandandoli in località isolate. Non con l’accusa di
omosessualità, che dal codice fascista non era contemplata come reato, ma di essere moralmente e socialmente pericolosi per l’integrità della stirpe e la tutela della razza.
Nella mostra non ci sono esperienze di donne, perché?
La mostra non riporta casi di omosessualità femminile perché dalla mia ricerca, e anche da quelle condotte da altri sul campionario nazionale conservato presso l’Archivio Centrale dello Stato, non ne sono emersi. D’altronde va considerato che l’omosessualità femminile dava molto meno nell’occhio e in definitiva questo era ciò che al regime interessava di più.
Riguardo alla loro scarsa visibilità si pensi solo al fatto che le donne omosessuali, le tribadi come erano chiamate dai raffinati, non si prostituivano in luoghi pubblici.
Tra le storie presentate nella mostra è presente solo quella di una donna in quanto tenutaria di un bordello che consentiva incontri tra persone dello lo stesso sesso e non come persona omosessuale.
Ci sono libri o film sull’argomento che si possono suggerire ai lettori?
A chi voglia studiare seriamente la questione, suggerirei due classici imprescindibili. Il libro di Lorenzo Benadusi intitolato “Il nemico dell’uomo nuovo” (Feltrinelli, 2005) e il film “Una giornata particolare” di Ettore Scola. A tutt’oggi, a mio avviso, non è stato fatto di meglio.
Il progetto ha avuto un certo successo.
Attualmente dove troviamo la mostra?
Attualmente la mostra, in occasione della Giornata della Memoria, è esposta a Frosinone e a Pesaro. Prossimamente a Siracusa.
Ringraziamo il professor Magistro e alla prossima intervista!