“Tracce silenziose”. Oltre le curve della vita
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di Jorida Dervishi Mbroci
Azzurra camminava lentamente, senza fretta, come se ogni passo fosse un piccolo gesto di conquista. Le strade che percorreva un tempo le sembravano sconosciute, quasi un mistero da decifrare. Ma ora, le conosceva a fondo. Sapeva dove conducevano, quali curve inaspettate l’avrebbero attesa, ma ogni volta che una di queste appariva, il suo cuore accelerava un po’, come se il mondo volesse metterla alla prova. Eppure, cercava di nascondere la sua paura. Sorrideva, sempre. Nonostante tutto, sorrideva e continuava a camminare.
Sotto la pioggia, nei giorni di sole, nel buio della notte. Perfino quando la città si svuotava, rifugiandosi nel silenzio di quei giorni in cui nessuno avrebbe fatto nulla. In quei momenti, il suo passo solitario sembrava raccontare una storia silenziosa, e desiderava più di ogni altra cosa che quelle passeggiate non finissero mai. Era come se la strada stessa fosse diventata una compagna di viaggio che la aiutava a mantenere la rotta, anche nei momenti di smarrimento.
Ogni tanto salutava i passanti, quelli che aveva incontrato mille volte lungo il percorso. C’erano quelli che non la notavano, e quelli che la salutavano con un sorriso o un cenno del capo, come se, in qualche modo, condividessero con lei un frammento di quella vita che andava avanti, anche nei giorni più difficili. Si fermava anche a prendere il caffè, nel solito posto. Non cambiava mai, e nemmeno lei lo voleva. Quel caffè aveva un aroma speciale, un sapore che la legava a tanti ricordi di un passato che, sebbene lontano, non smetteva di essere presente nei piccoli gesti quotidiani.
Mentre camminava, ascoltava la sua musica preferita. Le note delle sue canzoni erano come un filo che la legava al mondo, che la faceva sentire viva, che le ricordava che, nonostante tutto, la vita continuava a scorrere. La musica non la stancava mai. Ogni canzone le raccontava una storia, e in ognuna di esse c’era un pezzo di sé stessa che ancora doveva scoprire. Ogni passo che faceva la portava un po’ più lontano da ciò che era stato, ma anche più vicina a ciò che sarebbe potuto essere. Aveva camminato tanto, aveva visto tanto, e ancora non si sentiva stanca. Ogni angolo, ogni strada, sembravano offrire una nuova possibilità di scoperta. Quanto aveva visto, e quanto avrebbe ancora visto!
Eppure, ora sentiva che era arrivato il momento di fermarsi, almeno per un po’, per scrivere. Scrivere quei capitoli di vita che tanto l’avevano insegnata, quelli che l’avevano fatta crescere, a volte con fatica, ma sempre con una consapevolezza più forte. Seduta su una panchina, con il taccuino in mano, prese un respiro profondo e ripensò a quelle strade che aveva percorso. Non solo fisicamente, ma anche interiormente. Ogni curva della sua vita l’aveva portata a una riflessione, a una nuova comprensione di sé. E ora era giunto il momento di mettere tutto nero su bianco, per non dimenticare, per non perdere quella ricchezza che il cammino le aveva donato.
Azzurra imparò che combattere non significava sempre sfidare il mondo o lottare contro le avversità. A volte, combattere significava sapere accettare la realtà per quella che era, senza illusioni o negazioni. La realtà, per quanto dura e spietata, era ciò che aveva davanti. Solo riconoscerla, senza mascherarla, le dava la forza di reagire.
Nei giorni bui, quando il peso del mondo sembrava troppo grande da portare, Azzurra si rese conto che non c’era niente di sbagliato nell’ammettere di non avere tutte le risposte, nell’accettare che non tutto era sotto controllo. La vera battaglia si giocava dentro di lei, nella sua capacità di voltare pagina, di non restare impantanata nei ricordi dolorosi o nelle situazioni che non poteva cambiare. Ogni giorno che sceglieva di guardare avanti, di non restare intrappolata nel passato, era una piccola vittoria.
Azzurra sapeva che la forza non stava nel negare il dolore o l’incertezza, ma nel non permettere a questi di definirla. Combattere voleva dire anche non tradire i propri valori, rimanere fedele a se stessa, anche quando il mondo cercava di farla dubitare. Non permettere che le circostanze o la paura minassero ciò che aveva imparato a riconoscere come giusto e vero per lei. Era una lotta silenziosa, quella che ogni giorno affrontava per restare integra, per ricordarsi che, al di là delle tempeste, c’era sempre una parte di sé che non avrebbe mai potuto essere scossa.
Voltare pagina non significava dimenticare, ma liberarsi del peso che non le apparteneva più. Ogni passo che compiva verso il nuovo, verso l’ignoto, le ricordava che combattere non era solo resistere, ma anche sapersi adattare, imparare e, soprattutto, rimanere fedele ai principi che la guidavano.
In tutto questo, Azzurra trovava la sua forza. Non una forza che le veniva dalle circostanze, ma dalla sua capacità di affrontarle con dignità, coraggio e una profonda accettazione di sé stessa. La sua battaglia, alla fine, non era contro il mondo, ma contro l’inquietudine che nasceva dalla paura di non essere abbastanza. E, ogni giorno, con ogni passo che faceva, Azzurra dimostrava che non solo lo era, ma che la sua lotta era già una prova di grandezza.
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