Intervista a Kikoko: la pittura e il viaggio
Ekoe Kokovi, in arte Kikoko.
1978 a Lomè, nel Togo, oggi vive e lavora a Milano. Prima ebanista,
scultore e fabbricante di percussioni, diventa pittore dopo aver
conosciuto un gruppo di artisti nomadi nel deserto algerino, a
Tamarasset. Le sue opere sono state esposte in Francia, in Germania e
in molte località italiane (Milano, Lodi, Roma, Ravenna).
avuto la fortuna di conoscere Kikoko e di parlare un po’ con lui.
regaliamo le sue parole.
ci può raccontare brevemente la sua esperienza personale?
ritrovato davanti a una scelta e ho deciso di andare. Ho deciso di
partire dal mio Paese, prima di tutto, perchè volevo cercare me
stesso. La mia famiglia non aveva problemi economici, ho studiato
contabilità, ma sentivo che quella non era la mia strada.
tappa del mio viaggio è stata l’Algeria, Tamarasset (tra Algeria e
Niger), un luogo nel deserto in cui ho trovato carovane di artisti
che hanno formato lì un piccolo villaggio dove creano e vendono le
loro opere. Ho conosciuto così l’arte pittorica. Mi hanno accolto e
ospitato per tre, quattro mesi; ho vissuto con loro, ho adottato le
loro abitudini, ma per me,all’inizio, non è stato facile perchè
venivo da un altro posto, anche da un altro clima. Quando ho finito i
soldi, da lì mi sono spostato nel Benin – dove ho allestito la mia
prima mostra – per poi tornare in Togo. In Togo, però, non ho
trovato un’accoglienza positiva perchè la mia scelta di fare come
mestiere l’artista, non era capita. Il livello culturale era molto
basso. Mio padre era un collezionista, ma mia madre mi diceva: “Con
questo lavoro non si mangia”.
è arrivato in Francia. Il suo bagaglio artistico e culturale lo ha
acquisito in Europa o in Africa?
qui e un po’ in Africa perchè , per un periodo, andavo e tornavo in
continuazione. Ogni volta, però, che tornavo indietro dovevo
ricominciare dall’inizio, ma ho continuato ad imparare, a studiare.
In Africa avevo la mia casa e più tempo a disposizione per cui
potevo dedicarmi a quella che ho scelto come la mia professione. Ho
imparato tanto soprattutto guardando le altre persone, gli altri
artisti. Guardare uno che prende una tela e butta giù il colore: già
quella è una partenza. E io ripetevo i gesti, ascoltavo le parole.
stata la sua prima esperienza in Europa?
volta dovevo rimanere a Marsiglia per un mese, ma ci sono rimasto per
sei mesi come irregolare e, quindi, dovevo nascondermi. Se manca il
permesso di soggiorno, il migrante non esiste, sa di non esistere ed
è capace di tutto: è capace anche di prendere l’identità di un
altro perchè non c’è alternativa. Si è costretti a mentire, a
perdere tutto, a negare le proprie radici: il nome, i figli, la
famiglia d’origine, etc. per poi nascondersi anche dietro a un Paese
diverso dal proprio, falso e dietro a una falsa identità.
situazione ha trovato quando è arrivato in Italia?
arrivato nel 2006 e sono ancora dentro a una situazione difficile.
Chi mi ha conosciuto quando sono arrivato e mi vede oggi può dire:
“Questo qua ha fatto un miracolo”. Ancora oggi, qui, sento
diffidenza, se non paura dello straniero. Ho fatto realmente fatica
ad entrare nella vita reale italiana. Ad esempio, quando sono qui,
nel mio studio, le persone che passano guardano dalla vetrina, vedono
un uomo di colore e non entrano. Non voglio chiamarlo razzismo, ma
ignoranza.
tecniche usa per realizzare le sue opere?
artisti che ho incontrato nel deserto algerino erano scappati dai
loro Paesi per motivi politici e religiosi perchè, nei loro dipinti,
avevano inserito figure umane (o di altri esseri viventi) non
accettate dall’iconoclastia.
ancora oggi, i loro quadri sono caratterizzati da pennellate lunghe e
colori delicati: vengono lasciati ad asciugare al sole e al vento, ma
il vento porta la sabbia sulle tele. Il dipinto diventa, così,
materico e porta in sé la traccia del luogo in cui è stato
realizzato.
per me questa tecnica è diventata fondamentale. Applico sui miei
quadri materiali diversi: legno, stoffa, carta. La mia, infatti, è
una tecnica mista.
sono i temi ricorrenti nella sua Arte?
del viaggio è fondamentale. Molti artisti escono dal loro ambito
reale, da uno schema predefinito e vanno a indagare con la
mente…arrivando anche sulla luna!
me piace viaggiare, soprattutto metaforicamente. Nei miei quadri ci
sono figure reali che diventano simboliche; oppure inserisco proverbi
o modi di dire che appartengono alla mia cultura, ma – a seconda
dell’interpretazione che ne dà lo spettatore – possono cambiare
significato. L’importante è pensare, leggere o scrivere con
l’immagine.