Senza confini. Una etnographic novel. Uno sguardo nuovo sul nomadismo contemporaneo
di Alessandra Montesanto
Senza confini è una etnographic novel, edita da Milieu, che unisce la ricerca antropologica con il racconto scritto e disegnato, nata dall’esigenza di dare uno sguardo nuovo alle storie del nomadismo contemporaneo e all’esperienza vissuta dai migranti del nuovo millennio.
Associazione per i Diritti umani ha intervistato gli autori, Andrea Staid (antropologo) e Francesca Cogni (videoartista, illustratrice).
Ecco, per voi, la prima parte dell’intervista. Risponde Andrea Staid, che ringraziamo sempre per la sua disponibilità e gentilezza. Domani pubblicheremo la seconda parte con le risposte di Francesca Cogni.
Come si può declinare il concetto di “confine”?
Il concetto di confine si può definire in due modi. Il primo, quello che preferisco, è quello di un confine labile, che si può scavalcare: il confine è sì diversità, ma anche possibilità.
Il confine, invece, su cui ci siamo focalizzati per la nostra etnographic novel è stato quello della Fortezza Europa, cioè il confine di quell’Occidente tanto sperato da persone che, per motivi differenti, cercano di raggiungere per cercare un Futuro migliore. Il confine, quindi, che divide il “noi” da “loro”. Abbiamo, però, voluto decostruire i vari ghetti che si creano all’interno delle parole “migranti”, “rifugiati” ad esempio: nel nostro libro ci sono anche persone occidentali, come Melissa in arte Drowning Dog-DDM la rapper nordamericana che migra per lavorare con la propria musica. La grande differenza consiste nell’avere o no un passaporto occidentale e nella classe di appartenenza, il conto in banca è sempre senza confini.
Alla luce delle testimonianze da voi raccolte, quali sono le difficoltà comuni alle persone soggette a un nomadismo forzato?. Anche perchè, in realtà, il nomadismo fa parte della Storia dell’umanità…
L’essere umano è nomade. Detto questo c’è una differenza fra un nomadismo ricercato e un nomadismo forzato. In generale noi abbiamo raccolto testimonianze di persone costrette a fuggire, tranne Melissa che, come dicevo, voleva arrivare in Europa per fare concerti con la sua musica, poi si è sposata ed è rimasta qui. Mohamed, invece, scappa perchè è un fotoreporter che parla di cose di cui, nel suo Paese, non deve parlare, ma in Europa cerca la libertà di farlo. Oppure c’è la storia di un uomo, incarcerato dal regime turco, punito per le sue idee che manifestava sul giornale; e poi la storia di Silver, che apre il nostro lavoro, che abbiamo incontrato nella periferia di Milano, presso Casa di Betania, che viene in Europa per vendere le sue opere di pittura, ma purtroppo viene “truffato” dal mercato del mondo dell’arte.
Alla fine, quindi, sono tutte storie di resistenza…
Sì, e c’è anche una doppia resitenza che riguarda le donne migranti che è anche una resistenza di genere perchè soffrono di un retaggio patriarcale all’interno delle strutture ospitanti e da parte, a volte, degli stessi attivisti. Accenno alla storia di Napuli: dopo una carovana, durata mesi, di rifugiati politici che marciavano in Germania per la tutela dei diritti, si ritrovano a Berlino e occupano la piazza Oranienpaltz, con la scuola annessa. Il giorno dello sgombero, Napuli sale su un albero su cui ha vissuto per cinque giorni e cinque notti. Napuli ci ha raccontato di essere nata nella foresta e che quell’albero l’abbia aiutata e sostenuta perché era riuscita a creare un rapporto primordiale con la pianta. L’ultimo giorno, mentre lei era ormai stremata, la Polizia ha ceduto. E Napuli è diventata un simbolo di quella lotta.
Come si rapportano, le persone da voi intervistate, alla ricerca dell’identità, altra questione importante per chi vive e porta dentro di sé l’appartenenza a mondi e culture differenti?
L’identità è posticcia e serve quando si ha paura. Le persone che abbiamo intervistato hanno identità in transito: stanno diventando qualcos’altro, ma hanno ben presente da dove arrivano. Questo è interessante perché porta proprio all’ibridazione culturale e alla creazione di nuovi soggetti politici meticci.
Perché la scelta di trattare argomenti di stretta attualità (migrazioni, razzismo) nella forma della graphic novel?
I motivi principali sono tre. Il primo: io e Francesca ci siamo resi conto che i nostri lavori erano molto simili, ma affrontati con approcci differenti, per cui abbiamo pensato di ibridarli per creare qualcosa di originale, ed è nata la etnographic-novel, un’etnografia fatta con i disegni. Il secondo motivo: il disegno non mette paura come un registratore o una telecamera, ma crea complicità ed empatia. Il terzo: la grafica arriva a molte più persone, soprattutto ai giovani perché il testo, etnografico, viene comunicato con semplicità.