Il Brasile e i precari equilibri dell’America Latina
di Tini Codazzi
L’ex militare Jair Bolsonaro ha vinto le elezioni presidenziali in Brasile. Al ballottaggio ha preso il 55% dei voti contro il suo avversario Fernando Haddad, candidato del Partito dei Lavoratori. Di tutto si è detto su di lui in campagna elettorale: razzista, omofobo, maschilista, sessista, fascista, amante delle dittature militari, violento, amante delle armi… ma la conclusione è che un personaggio considerato per molti analisti un pericolo per la regione, ha vinto dopo anni di corruzione gestita dai due governi del Partito dei Lavoratori, quelli di: Luis Inacio Lula da Silva e Dilma Rousseff. Il primo incriminato per riciclaggio e corruzione e condannato a 12 anni di prigione e la seconda destituita dal congresso nel 2016 e accusata di violazione delle norme e leggi fiscali e falso in bilancio. Quindi, come si poteva prevedere, il Partito dei Lavoratori dopo questi scandali ha perso tutta la popolarità e la credibilità, portando il paese a livelli di insicurezza, disoccupazione, violenza e povertà importanti, per cui il popolo ha preferito il rappresentante della destra radicale, piuttosto che continuare a mantenere il gioco corrotto della sinistra. Potrei anche dire che il popolo brasiliano ha ragione, solo che l’opzione per il cambiamento, proposta da Bolsonaro, non è delle migliori, anzi. Quindi, cosa si doveva fare? Per chi si doveva votare? Io non avrei saputo cosa fare.
Il legame del brasiliano con i militari di destra, la sua idea di facilitare il possesso di armi, la promessa elettorale di dare maggiori facoltà alle forze dell’ordine per usare le armi durante il loro lavoro, il suo progetto di cambiare la scuola per “militarizzare” i programmi scolastici, il desiderio di cambiare le leggi per la protezione dei diritti degli indios dell’Amazzonia e delle minoranze, sono alcune delle sue promesse elettorali, dei suoi programmi, delle sue idee che non combaciano molto con una linea di governo democratica, aperta e al passo con i tempi.
In linea teorica, il nuovo governo sembrerebbe non aiutare il precario equilibrio che adesso persiste in America Latina. In quelle latitudini, gli estremismi sono stati sempre molto pericolosi e la storia ce lo ha dimostrato ampiamente. L’estremismo di destra nella sua maggioranza è stato militare e ha portato all’auge sanguinarie dittature come in Argentina, Uruguay, Cile, Paraguay e il medesimo Brasile. Gli estremismi di sinistra sono stati anche loro portati avanti da militari comunisti o pseudo comunisti come in Cuba e Venezuela o da movimenti rivoluzionari socialisti come in Nicaragua o in Bolivia. Non importa da che ideologia provengono, il leit motiv di tutti questi estremismi è stato, è e sarà sempre l’avvio di regimi autoritari o dittatoriali caratterizzati dalla violazione sistematica di diritti umani e civili, dalla censura, dalla violenza, dalla discriminazione e dall’oscurità. È per questa ragione che in un momento così delicato come quello che adesso vive America Latina, la vittoria di Bolsonaro potrebbe far scoppiare definitivamente il terremoto. Per esempio, in questo momento il continente è attraversato da tre dittature: Venezuela, Nicaragua e Bolivia, da un governo ambivalente e di tolleranza zero come quello di Donald Trump, da un governo di sinistra “amico” delle politiche venezuelane come quello appena iniziato in Messico dal populista López Obrador. Potrebbero essere delle bombe pronte a scoppiare, quindi ci si chiede: Bolsonaro sarà l’ennesima minaccia per la democrazia della zona già estremamente traballante?
Per la vicina Venezuela, il governo di Bolsonaro potrebbe rappresentare un’altra minaccia, dopo gli Stati Uniti di Trump e la Colombia di Ivan Duque, perché un governo di destra radicale sicuramente non darà ossigeno alla narco dittatura di Nicolas Maduro, piuttosto aiuterà a moltiplicare sanzioni e contrattempi e a spingere per una soluzione, si spera, democratica, alla crisi senza precedenti che vive il Venezuela. Questo paese è nel mirino di Bolsonaro, il quotidiano brasiliano “Folha de Sao Paulo” nei mesi scorsi aveva pubblicato una inchiesta che affermava che il presidente eletto voleva far cadere Maduro con l’aiuto del suo omologo colombiano, Ivan Duque. Questa notizia è stata smentita da tutti e due i governi, in campagna elettorale Bolsonaro ha detto che avrebbe chiuso i confini con il Venezuela per impedire che milioni di rifugiati attraversassero la frontiera per raggiungere la regione confinante di Roraima, adesso afferma che troverà delle soluzioni insieme all’Organizzazione di Stati Americani per aiutare i profughi della nazione vicina. È un dato di fatto che la narco dittatura di Maduro è criticata dalla maggior parte dei paesi della zona e adesso più che mai Brasile si unirà al coro di critiche.
Dunque, per le dittature della regione, il trionfo di Bolsonaro potrebbe essere una minaccia, un bene, un aiuto in più per cercare una soluzione; per il popolo brasiliano, invece, questo trionfo potrebbe essere un male. La storia ce lo dirà.