Tre volti: il nuovo film di Panahi sull’Iran di oggi, la censura, i diritti delle donne
di Alessandra Montesanto
L’immagine mossa di una giovane donna in un video registrato con il cellulare: la donna si chiama Marziyeh e si sta appellando ad un’altra signora, un’attrice nota in tutto il Paese, affinchè convinca i suoi genitori a darle il permesso di realizzare il sogno di lavorare nel Cinema e nel Teatro. Altrimenti, dice Marziyeh, si toglierà la vita. La giovane donna vive reclusa in un piccolo villaggio rurale e arcaico.
L’attrice famosa, Behnaz Jafari, ascoltato il tragico messaggio, decide di abbandonare le riprese del film a cui sta lavorando, per andare in cerca della ragazza e verificare la veridicità del video. Inizia, così, un viaggio tra i villaggi dell’Iran profondo; un percorso effettuato in macchina, con alla guida lo stesso regista Jafar Panahi, durante il quale si intrecciano le vicende di altri personaggi, spesso femminili. Saranno, infatti, tre le donne protagoniste di questa storia, come tre sono i volti citati nel titolo. Ogni tappa del viaggio, su strade impervie e sempre più sterrate, rappresenta una riflessione sul tessuto politico-culturale del Paese.
L’attrice, quella importante, viene accolta dalla famiglia della ragazza e dalla comunità locale con tutti gli onori, ma a Marziyeh viene negata la possibilità di svolgere la sua stessa professione. Questo è il mistero che avvolge il racconto, ma non sarà l’unico.
Ha vinto l’Orso d’oro a Berlino nel 2015, Jafar Panahi, con il film intitolato Taxi Teheran. Torna nelle sale cinematografiche con il suo ultimo lavoro Tre volti in cui lui stesso si ritrova alla guida di un’automobile, personaggio diegetico e narratore di una vicenda che vede protagoniste tre donne, simboli della società iraniana contemporanea.
Prima di parlare del film, però, bisogna ricordare che Panahi si trova agli arresti domiciliari a causa del regime liberticida che vige nel Paese, ma la sua Arte riesce a sconfinare grazie alla tecnologia digitale e ai canali social. E Tre volti inizia proprio con un video, girato con un cellulare, che veicola un messaggio inquietante: se la giovane Marzyeh non riuscirà a realizzare il sogno di diventare attrice, si toglierà la vita. Questo è il motore di un viaggio nell’interno dell’Iran, tra i villaggi dove la cultura e la tradizione sono più arretrate rispetto alla capitale, Teheran.
La riflessione di Panahi, come sempre nei suoi ultimi film, non si ferma a sottolineare la differenza tra città e campagna, ma insiste sul tema della censura, a cui lui stesso è stato ed è sottoposto. Anche questa pellicola, infatti, è stata considerata “illegale” perchè, secondo le autorità, mina l’onorablità dell’Iran e degli iraniani: ed ecco, quindi, che i familiari e la comunità di Marzyeh non vogliono che lei esca dalle mura domestiche e dal recinto in cui è stata cresciuta perchè deve ricalcare lo stereotipo della “brava ragazza”, devota al parentado, senza pretendere alcun tipo di emancipazione. Ma c’è chi fa da contraltare, ed è l’attrice ormai affermata, Benhaz Jafar, che qui recita se stessa. Affermata sì, ma nel film reietta perchè lavorava in televisione prima dell’avvento della Rivoluzione khomeinista e ora viene disprezzata da tutti (torna il tema della censura).
Premiato all’ultima edizione del festival di Cannes per la Migliore Sceneggiatura, il film di Panhai rappresenta anche una riflessione sul Cinema e sulla differenza tra finzione e realtà: il regista, e attore, osserva il video inviato da Marzyeh e si interroga sulla sua veridicità, non vedendo stacchi nel montaggio. Qui si annida il primo dubbio, ma anche il nucleo del discorso: qualsiasi forma di rappresentazione non può mai essere identica al Reale e, quindi, veritiera. Come si può, quindi, condannare un artista? Il tema fondamentale diventa quello della libertà di espressione. Ma anche quello della manipolazione delle immagini e delle parole per fare propaganda o, comunque, per orientare l’opinione pubblica.
C’è, sicuramente, un omaggio al Maestro Abbas Kiarostami, ai suoi paesaggi quasi dipinti, ma le strade percorse dall’auto con i suoi viaggiatori sono quelle dei villaggi del nord-ovest, nella zona turcofona, dove affondano le radici del genitori e dei nonni di Panahi. Un omaggio anche alla sua famiglia di origine.
Strade in salita, acciotolate, difficili da percorrere, così come è difficile ottenere la tutela dei diritti fondamentali per le donne nella società iraniana. Donne riprese spesso in primo piano, mentre l’uomo (lui, Panahi) si fa riprendere di spalle, quasi a voler ammettere la propria rassegnazione di fronte al mancato sviluppo democratico della situazione politica e a voler rimarcare il ruolo, negativo, della parte maschile nel tessuto sociale e nella vita delle mogli, figlie, sorelle…
Non abbiamo volutamente fatto cenno al terzo volto importante nella sceneggiatura; consigliamo, inoltre, di rimanere a guardare fino alla fine dei titoli di coda E poi ognuno farà le proprie considerazioni. E poi ognuno farà le proprie considerazioni.(Ricordiamo che i dialoghi italiani sono a cura di Babak Karimi).