“Stay human. Africa”. Un fotografo in Africa, intervista a Fulvio Pettinato
a cura di Veronica Tedeschi
Reporter d’emozione, così si definisce Fulvio che da anni, parallelamente al suo lavoro di fotografo in Italia, ha iniziato a fare dei reportage in Africa, in Senegal e in Kenya in particolare.
Ha collaborato con diverse associazioni umanitarie attive sui territori come Pro-Senegal, Likoni Yetu, A Step forward Onlus e ha svolto diverse mostre fotografiche dedicate alla vita dei popoli africani e indiani, godendo appieno la vera essenza della miseria e della malattia e provando a rivelare ciò che le nostre TV nazionali non mostrano.
“Non è facile avere uno stile quando si fanno fotografie che ritraggono un popolo che vive di un’evidente ingiustizia, in assenza del rispetto per i diritti umani, vittima di un’esistenza che si può chiamare in molti modi”
Ho deciso di intervistare Fulvio per provare ad entrare nelle sue fotografie ed assaporare l’Africa da un obiettivo.
Da anni sei fotografo di spettacoli di danza e di matrimoni. Cosa ti ha spinto a “spostare l’obiettivo” sull’Africa?
Ho iniziato con gli spettacoli di danza perché ho da subito provato una forte attrazione per la fotografia in movimento, con lo scopo di cogliere il momento più intenso e vero dell’artista sul palco: tirar fuori le emozioni che trasmette al pubblico e congelarle in una fotografia. La danza mi ha fatto crescere tantissimo tecnicamente, cosi anche la fotografia di “reportage di matrimonio”. Ci tengo a definirla “reportage” perché le fotografie che immortalo raccontano una storia; gli sposi si affidano a me totalmente e questa fiducia mi emoziona e mi dà la forza e l’ispirazione per rendere ogni racconto diverso dagli altri.
Infine L’Africa… la scoperta di questo immenso continente nasce da una semplice curiosità. Ho sempre voluto vedere quello che in TV non mostrano; avevo bisogno di raccontare attraverso i miei occhi e la mia sensibilità la vita dei popoli meno fortunati; di vivere i giorni trascorsi in quei luoghi come se fossi uno di loro, dimenticando ogni forma di tecnologia e comodità.
Senegal, il paese della Teranga (ospitalità) e dei mille colori.
Hai vissuto direttamente con i locali senegalesi, nelle loro case. Cosa hai provato?
Si, grazie all’Associazione Pro-Senegal, che mi ha gentilmente ospitato, alloggiavo in una zona limitrofa del villaggio di Mboro sur Mer, a 10 passi dal mare, dormendo all’interno di case di legno e paglia e cibandomi solo di quello che le donne senegalesi preparavano.
Ho aumentato quella consapevolezza che per tanti anni pensavo di avere in minima parte, scoprendo di averne, forse, troppa.
Qual è la foto più difficile che hai scattato in Kenya?
Dal punto di vista tecnico, tutte le foto sono abbastanza difficili quando si tratta di persone di colore, perché quando si mette a fuoco sul viso, la reflex considera corretta l’esposizione ma di sfondo si può rischiare di bruciare i bianchi.
Rimanendo lì per poco tempo non potevo aspettare le luci ambientali migliori del giorno; scattavo ogni volta che potevo e spesso mi trovavo di fronte a momenti bellissimi ma con una luminosità non adatta (ad esempio un controluce). Bisogna essere abili e lavorare in manuale. La post-produzione fortunatamente può aiutare al giorno d’oggi.
C’è qualche foto che avresti voluto fare ma che hai deciso di non scattare per non creare problemi alla comunità o al singolo?
Le donne dei mercati in Africa spesso non si fanno fotografare, cosi anche alcuni uomini pescatori. C’è chi dice che alcune tribù pensano che la fotografia rubi l’anima della gente e per questo motivo non vogliono essere riprese, ma non c’è un nesso con i mercati o i pescatori, visto che al di fuori di queste situazioni non ho mai avuto particolari problemi. Quando percepisco che potrei trovarmi in difficoltà scatto da lontano con un teleobiettivo.
Scattare una foto significa congelare un momento, uno sguardo. Molte tue fotografie ritraggono sguardi e occhi di bambini che hai congelato nella loro felicità e innocenza… raccontaci le tue emozioni.
Le mie emozioni nascono nel momento in cui dal mio oculare mi preparo a congelare il soggetto, nella mia mente giungono domande riferite alla storia di quella persona: “Come ha vissuto fino a quel momento?”, “Dove trova quella forza e quel sorriso per andare avanti nonostante tutto?”. Ed è subito dopo lo scatto che mi rendo conto di aver ricevuto un dono dal soggetto immortalato: l’onore di essere lì a ricordarlo. I soggetti mi “regalano” l’attimo che io catturo perché si sono fidati di me, e sono io a doverli ringraziare.
Amo l’Africa perché in quei luoghi non ho mai conosciuto una persona che prima o poi non mi abbia sorriso.
Per vedere altre fotografie di Fulvio, visita il sito www.fulviopettinato.com