Quando l’architettura è sociale e sostenibile
Associazione Per i Diritti umani ha intervistato l’architetto Bonaventura Visconti Di Modrone, dello studio ABMV che ha sede a Milano e Zurigo. Con il collega Leo Bettini Oberkalmsteiner, realizza progetti di architettura sociale e sostenibile, in autonomia.
Ringraziamo molto Bonaventura Visconti Di Modrone per la sua disponibilità.
Intervista a cura di Alessandra Montesanto
Perchè avete pensato di occuparvi di Architettura sociale?
Non ci definiamo architetti sociali, o meglio, non solo sociali.
Crediamo nell’importanza di sviluppare quanti più degli Obbiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite possibile.
Per noi questi obbiettivi rappresentano un manuale di buone pratiche utili come guida in ogni progetto.
In questo preciso momento storico e dato il contesto che ci circonda ci siamo avvicinati all’architettura sociale perché vediamo in essa uno strumento per migliorare la qualità della vita delle persone.
L’architettura non solo fornisce un riparo ma trasmette idee e soprattutto definisce il contesto fisico in cui viviamo.
Crediamo che vivere ed interagire in un contesto pensato e costruito a scala più umana possa stimolare nuovi comportamenti e cambiamenti positivi.
Da quando è nato il vostro studio e quali sono i progetti già in essere?
Lo studio è nato nel 2017.
Ad ora abbiamo realizzato due progetti e stiamo lavorando al terzo.
– Il primo è stato un orfanotrofio nel sud di Haiti per i 40 bambini della Ong Ayitimoun yo.
– Il secondo, autopromosso, è stato Maidan tent.
Una struttura mobile che funge da spazio comune e di aggregazione per campi profughi e per situazioni di emergenza post calamità naturali. Le tendopoli sono si efficaci e di rapida installazione ma spesso trascurano l’importanza della socialità e dell’interazione. Crediamo che questi siano aspetti fondamentali per superare traumi e per ritrovare una propria stabilità.
– Il terzo, in fase di prossima realizzazione, è lo sviluppo di un nuovo insediamento di 70 ettari nella regione di Diffa, Niger, con la Ong italiana CISP. Quest’ultimo è un progetto a tre livelli, il primo riguarda la definizione a scala urbanistica dell’insediamento, il secondo il rapporto tra le parcelle che compongono i quartieri e gli spazi comuni ed il terzo riguarda la suddivisione degli spazi interni delle singole unità abitative con le costruzioni che le compongono.
Questo progetto, molto più grande dei precedenti, indaga la possibilità di creare un contesto che possa dare stabilità.
Vorremo sviluppare un insediamento che abbia le caratteristiche basiche per la creazione di una comunità stabile in un ambiente sicuro e che generi sviluppo, anche economico.
Su quali valori basate le idee dei vostri interventi?
Ogni progetto ha le sue caratteristiche ma i valori costanti alla base di ognuno sono principalmente:
– Il rispetto, per la cultura e per i bisogni delle persone che ne beneficeranno.
Non vogliamo imporre idee o soluzioni, nel nostro caso architettoniche, che possano risultare aliene o non coerenti con le necessità o il contesto in cui si inseriscono.
– L’equità, crediamo infatti che ogni persona e ogni contesto meritino progetti di qualità, anche estetica.
– Il rispetto per le risorse naturali del luogo e globali, questa forse è la sfida più grande.
Come vi siete preparati per mettere in campo il progetto nel campo profughi nel Nord di Atene e a Niamey, in Niger?
Per realizzare la Maidan tent a Ritsona ci sono voluti mesi di sopralluoghi, interviste con gli abitanti del campo e con le Ong che vi operano, riunioni con IOM e un lungo periodo di test in Italia per monitorare il prototipo della tenda.
E’ stato fondamentale visitare il campo più e più volte per intercettare le reali necessità dei residenti e per svolgere riunioni con i rappresentanti eletti dalla comunità. Senza questo lavoro fondamentale dubito che saremmo riusciti a comprendere le reali dinamiche di vita del campo e quindi a porci le domande giuste per proporre un progetto solido ed efficace.
Per quanto riguarda il progetto in Niger, anche in questo caso c’è stato un grande lavoro di scambio e dibattito.
Data la scala molto maggiore dell’intervento ed il contesto di sicurezza più precario rispetto alla Grecia, in questo caso il dialogo è avvenuto per la gran parte con il team locale del CISP che, oltre a lavorare nel paese da un decennio, è formato dalla maggioranza da nigerini.
Ad Haiti – e negli altri Paesi – collaborate con le autorità locali?
Sia ad Haiti che in Niger sono state le Ong che si sono interfacciate con le autorità locali individuando le necessità ed intessendo rapporti di collaborazione. Per quanto riguarda il progetto Maidan tent in Grecia invece abbiamo dapprima contattato l’aeronautica greca, responsabile del campo di Ritsona e poi abbiamo stretto un forte legame di collaborazione con IOM che ha fatto da tramite con il Ministero delle Migrazioni greco.
Quali sono i progetti per il prossimo Futuro?
Per ora, oltre a portare avanti la Maidan tent ed il progetto in Niger, stiamo pensando di sviluppare un’idea collaterale ma complementare al progetto a Diffa.
Vedere con il CISP se sia possibile utilizzare la sabbia del deserto come materiale da costruzione e se si possano realizzare strutture solide con tecniche costruttive autoportanti che non richiedano né cemento né malta.
Se questo fosse possibile ridurrebbe di molto i costi di costruzione e permetterebbe cosi a molte più persone di costruirsi una casa in maniera autonoma.
Il progetto che ci piacerebbe? Qualcosa di relativo all’acqua o all’energia!