“LibriLiberi”. Veniva da Mariupol
Una saga familiare che ha il respiro ampio della grande letteratura russa. Veniva da Mariupol (L’Orma editore) è l’ultimo romanzo della scrittrice tedesca Natascha Wodin. Anno di nascita: 1945.
All’infanzia dell’autrice – trascorsa in un campo per sfollati – si giunge solo al termine della lettura perchè il racconto si dipana in un’indagine precisa delle vicende della sua famiglia, a partire dalla Prima Guerra Mondiale fino alla fine della Seconda, con intramezzi sul Presente.
La ricerca parte dalla volontà di ripercorerre l’esistenza materna, di una bambina-ragazza-donna che ha patito la miseria, che ha vissuto l’esilio, la violenza del regime stalinista prima e del nazifascismo poi, deportata con il marito come forza lavoro in Germania, con le conseguenze tragiche di una dura realtà che si imprime sul corpo e nella mente.
Quasi per caso, guardando una vecchia fotografia, la Wodin si mette sulle tracce dei parenti suoi e della madre, arricchendo la narrazione, di volta in volta, di particolari e coinvolgendo il lettore in un viaggio scrupoloso nella Storia del ‘900 con le delusioni, i tentativi, le conquiste proprie di un’ inchiesta giornalistica.
Ciò che affascina, in questo romanzo, sono anche le descrizioni poetiche dei paesaggi che attorniano i personaggi nelle loro peregrinazioni, paesaggi che fanno da contraltare alle crudeltà in atto; bello il gioco di specchi che si viene a creare tra chi scrive e le persone di cui scrive, con le sfumature psicologiche, spesso solo immaginate. La scrittura alterna, quindi, toni lirici, profondi e diretti (per le descrizioni delle atrocità e delle ingiustizie vissute dai protaginisti) che regalano il quadro d’insieme di una intera epoca. Sembra che, osservando con attenzione partecipata le poche immagini e gli altri indizi che ha a disposizione, l’autrice cerchi il senso generale di un dipinto di Bosch, prendendosi il tempo necessario per osservare i particolari con una lente di ingrandimento, per capire cosa si celi dietro ad un sorriso, ad un oggetto o ad un’atmosfera.
Un lungo racconto che parla anche dell’Oggi, che si rivolge a noi in quanto umanità: “Ragazze con il fazzoletto in testa, le valigie di cartone e i fagotti di stoffa, alcune poco più che bambine, vestite di stracci. Tutte terrorizzate, incapaci di comprendere dove siano finite, strappate dalle città e dai villaggi dei loro Paesi natali. Unsa massa interminabile di esseri umani senza nome che esistono solo come numeri. Ognuna di loro è mia madre”. Ma anche una storia che ha costretto la stessa persona che ha deciso di raccontarla a compiere un percorso interiore, per cercare risposte a domande inevase, per trovare un significato anche alla propria vita tramite quella di chi l’ha preceduta.