Dopo Torre Maura si temono in Italia focolai di pogrom contro i rom
Presentato in Senato il Rapporto annuale di Associazione 21 luglio: ancora 25.000 i rom nelle baraccopoli italiane. Per il loro superamento la congiuntura storica è favorevole ma permangono elementi di forte preoccupazione. Dopo Torre Maura si temono in Italia focolai di pogrom contro i rom.
L’8 aprile si celebra nel mondo la Giornata Internazionale per i diritti dei rom e, come ogni anno, Associazione 21 luglio, alla presenza del sottosegretario di Stato Vincenzo Spadafora, ha presentato il suo Rapporto annuale intitolato “I margini del margine”, dedicato alle comunità rom nelle baraccopoli italiane.
Dati e numeri
Negli ultimi anni in Italia, soprattutto nelle aree urbane, sono aumentate le sacche di marginalità sociale e di povertà estrema popolate da stranieri di recente migrazione e da cittadini di origine rom. A fronte di una stima di circa 10.000 migranti rifugiati in senso ampio presenti in una cinquantina di baraccopoli, è possibile quantificare circa 25.000 persone di etnia rom che vivono in baraccopoli istituzionali e in baraccopoli informali. Una realtà che rappresenta un unicum nel panorama italiano è quella degli insediamenti formali. In Italia se ne contano 127, presenti in ben 74 Comuni. Al loro interno vivono circa 15.000 persone, delle quali più della metà sono rappresentati da minori, con una percentuale di cittadini con cittadinanza italiana vicina al 45%. Negli insediamenti informali – solo a Roma se ne contano quasi 300 – vivono invece circa 10.000 cittadini rumeni e, in minima parte, bulgari. Si tratta di lavoratori stagionali, impegnati in un pendolarismo dalle città di origine al nostro Paese. Negli ultimi anni – si evince nel Rapporto – si osserva una graduale contrazione numerica non certo dovuta all’azione di azioni politiche inclusive, bensì all’allontanamento volontario di numerose famiglie verso l’inserimento abitativo autonomo o il trasferimento in altri Paesi. La condizione drammatica di numerosi insediamenti formali, la crisi economica unita a numerosi proclami politici stanno spingendo anche comunità di antico insediamento allo spostamento nei Paesi del Nord Europa o al ritorno nei Paesi di origine.
La strategia Nazionale per l’inclusione dei rom
In Italia dal 2012 esiste una Strategia Nazionale per l’Inclusione dei rom, ad oggi quasi totalmente inapplicata. La sua implementazione ha visto nel 2018 un ulteriore ostacolo determinato da intenti e propositi formulati da esponenti del nuovo Governo nazionale uscito dalle elezioni politiche organizzate in Italia il 4 marzo 2018. Due mesi dopo il voto, il 18 maggio 2018, gli esponenti delle due formazioni politiche chiamate a dare vita alla XVIII Legislatura repubblicana, hanno reso pubblico il “Contratto per il Governo del Cambiamento”, sottoscritto da entrambi. La dichiarazione di intenti espressa nel “Contratto per il Governo del cambiamento” in riferimento alle comunità rom evidenzia un linguaggio e una propensione politica volta ad una gestione emergenziale e securitaria della “questione”, preannunciando, nel linguaggio e nella sostanza, una modalità di intervento assai simile a quella utilizzata nel 2008 dal Governo nazionale quando vennero create le premesse dell‘“Emergenza Nomadi“ e dal quale la stessa Strategia, nelle sue premesse, intende fortemente discostarsi. Nel 2018 non si sono registrate azioni volte ad implementare gli obiettivi fissati dalla Strategia ed i Tavoli regionali istituiti negli anni precedenti in diverse regioni sono risultati “dormienti”.
La politica dei “campi” tra chiusure e superamenti
Il 2018 non ha visto particolari sviluppi riguardo l’attuazione di interventi sistematici volti sia a far cessare la segregazione abitativa dei rom che si trovano in emergenza abitativa nelle baraccopoli istituzionali gestite dalle Autorità pubbliche, sia al dirimerne le principali problematiche connesse.
La costruzione di nuovi “campi” rimane, come nel caso del Comune di Afragola, una modalità utilizzata da alcune Amministrazioni locali per “gestire” la presenza di comunità rom radicate da molto tempo sul proprio territorio. A Cascina, Torino e Gallarate la chiusura di insediamenti istituzionali ha portato all’ospitalità solo temporanea delle famiglie rom allontanate dalle loro abitazioni. Il Comune di Merano e Rimini si sono distinti per aver chiuso gli insediamenti presenti nei loro territori ma ricollocando nuovamente gli abitanti in insediamenti monoetnici. Chiusura di insediamenti abitati da famiglie italiane rom di antico insediamento si sono registrati a Cosenza e, parzialmente, a Reggio Calabria con una presa in carico, non sempre adeguata, da parte dell’Amministrazione Comunale. Nella città di Roma, il fallimento delle azioni inclusive ha portato, nel luglio 2018, allo sgombero forzato delle 250 persone che abitavano nell’insediamento di Camping River. Tentativi di superamento dei “campi rom” in linea con la Strategia Nazionale si sono registrati nei Comuni di Moncalieri, Sesto Fiorentino, Lamezia Terme e Palermo. «Per questi ultimi Comuni – ha dichiarato il presidente di Associazione 21 luglio Carlo Stasolla nel corso della presentazione – si tratta di risposte da osservare con attenzione e da sostenere, perché rappresentano una nota di discontinuità nel panorama nazionale».
Sgomberi forzati
«L’Italia continua a non disporre di un chiaro quadro normativo per quanto riguarda gli sgomberi degli insediamenti formali e informali – si legge nel Rapporto – con la conseguenza che tali operazioni continuano a essere condotte in modo discrezionale dalle autorità locali, spesso in deroga alle tutele procedurali previste dal diritto internazionale, concretizzandosi pertanto in evidenti violazioni dei diritti umani. Non va sottovalutato, inoltre, come gli sgomberi forzati, malgrado comportino un’elevata voce di spesa, non producano mai l’effetto di sanare l’inadeguatezza dell’alloggio, raggiungendo invece un esito opposto: quello di replicarla altrove, consolidando, per le comunità coinvolte, il circolo vizioso della povertà e dell’esclusione».
In numerose città italiane, per tutto il 2018, si sono registrate operazioni di sgombero forzato di comunità rom dalle baraccopoli formali e dai micro-insediamenti in cui vivevano. In riferimento a questi ultimi si è registrato il maggior numero di azioni promosse dalle autorità pubbliche.
Oltre allo sgombero di un insediamento formale, quello di Camping River, a Roma, Associazione 21 luglio ha registrato per tutto il 2018 altre operazioni di sgombero forzato che hanno riguardato insediamenti informali così ripartiti nelle diverse aree geografiche: 90 nel Nord Italia, 80 nel Centro e 25 nel Sud per un totale di 195 sgomberi forzati.
Discorsi d’odio, discriminazione e attacchi violenti
La percezione sempre più diffusa delle comunità rom come ontologicamente e culturalmente differenti, ha contribuito a far sì che anche nel 2018 in Italia si sia registrato un elevato numero di episodi di discriminazione ed incitanti odio nei loro confronti. Va altresì considerato come “frasi d’odio”, stereotipi, pregiudizi – cosi come riscontrato dall’Osservatorio 21 luglio – hanno una forte correlazione con le politiche pubbliche che sono spesso origine e conseguenza degli stessi.
In un effetto a “palla di neve”, politiche non inclusive sono generate e traggono la loro ragion d’essere dal pregiudizio presente nel sentire comune, che però esse stesse, nel loro implementarsi, finiscono per giustificare, rafforzare, amplificare. Nel 2018 l’Osservatorio 21 luglio ha registrato un totale di 125 episodi di discorsi d’odio nei confronti di rom e sinti, di cui 38 (il 30,4% del totale) sono stati classificati di una certa gravità. La media giornaliera che si ricava è di 0,34 episodi al giorno, mentre se si isolano esclusivamente episodi ritenuti di una certa gravità (categoria: Incitamento all’odio e/o alla discriminazione) questa si attesta su 0,10 episodi al giorno.
Conclusioni
Secondo Associazione 21 luglio, in una fase in cui per la prima volta si assiste ad un decremento numerico delle famiglie di origine rom che abitano le baraccopoli formali e informali e contestualmente alla possibilità di utilizzare finanziamenti europei per la promozione di azioni inclusive, l’Italia sembra non cogliere la congiuntura favorevole, preferendo restare ancorata all’immagine stereotipata del “rom” visto come cittadino “altro”, irrimediabilmente incapace di percorrere itinerari virtuosi verso l’inclusione. Ci sono segnali che fanno intravvedere un ritorno al passato, ai tempi bui dell’Emergenza Nomadi” inaugurata dal decreto dell’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. La militarizzazione di alcuni insediamenti – inaugurata dalla Giunta Raggi nella città di Roma – le gravissime conseguenze del c.d. “decreto Salvini” – che nella seconda metà del 2019 farà precipitare nell’irregolarità centinaia di famiglie originarie dell’ex Jugoslavia ed oggi in possesso di un permesso di soggiorno per motivi umanitari -, le azioni di sgombero forzato, che solo nella Capitale nel primo trimestre del 2019 hanno raggiunto numeri mai visti prima, sono tutti segnali che fanno guardare con profonda preoccupazione al futuro e che obbligano ad una riflessione profonda e ad un cambio di paradigma. Gli eventi di questi giorni, secondo Associazione 21 luglio, mostrano come ci troviamo di fronte a un’esclation pericolosa. I proclami antirom formulati in campagna elettorale dai leader della destra italiana, a cui è stato dato seguito, dopo le elezioni del 4 marzo, con le minacce verbali di censimento e di chiusura degli insediamenti come riportato nel Contatto per il Governo del Cambiamento, hanno irrimediabilemnte finito per riverberarsi nelle politiche locali. Lo sgombero di Camping River e la chiusura degli insediamenti di Cascina e Gallarate rappresentano dirette conseguenze di un mutato clima politico. Con gli eventi di Torre Maura, a Roma, si è compiuto un pericoloso, ulteriore passaggio. Le reiterate dichiarazioni di esponenti politici hanno di fatto legittimato le azioni di frange di estrema destra a cui è stato consentito per tre giorni di organizzare un presidio permanente – senza autorizzazione prevista dalla Legge – al fine di allontanare, attraverso minacce, le famiglie rom presenti nel centro di raccolta rom di via Salaria. Potrebbe essere questa la scintilla che, in un’operazione di pericolosa emulazione, rischia di provocare nel nostro Paese focolai di pogdrom anti rom che andrebbero colpire quanti, nelle nostre periferie, sono riconosciuti come rom, come indigenti, come poveri urbani. L’allontanamento volontario di famiglie rom dall’Italia è già un fatto registrato nelle principali città nel 2018, che potrebbe intensificarsi in tempi molto brevi.
«Il superamento dei campi rom – ha concluso Carlo Stasolla – rappresenta pertanto la sfida più grande che ci attende nei prossimi anni. Una sfida che oggi, alla luce di scelte coraggiose e lungimiranti di alcuni amministratori locali possiamo ritenere possibile e, soprattutto, l’unica percorribile. Importante è il senso di responsabilità che i nostri amministratori dovranno dimostrare. Urgente è mettere da parte proclami e minacce bellicose e dare spazio ad azioni di lungo respiro improntate ad un approccio inclusivo e rispettoso dei diritti fondamentali».