Teatro utile: dare una famiglia alle rifugiate e ai rifugiati
a cura di Alessandra Montesanto
In attesa dello spettacolo che si terrà il prossimo 26 giugno e di cui vi daremo comunicazione, Associazione Per i Diritti umani ha avuto occasione di parlare con Tiziana Bergamaschi – ideatrice e regista – e Mateo Çili – aiuto regista, che organizzano e conducono laboratori teatrali per ragazze e ragazzi rifugiati e richiedenti asilo.
Ecco cosa ci hanno raccontato:
Sul territorio della città di Milano sono ad oggi accolti molti migranti di cui alcuni in carico al servizio di etnopsichiatria in quanto portatori di varie forme di disagio psichico o di sintomatologie riconducibili a disturbi psichiatrici nella maggior parte dei casi conseguenza di traumi complessi subiti nel paese di origine o durante il percorso migratorio.
Il progetto Teatro Utile 2019 (Teatro Utile è alla sua settima edizione ed è un progetto sulla ricchezza culturale delle diversità e l’inclusione attraverso l’arte, promosso dall’Accademia dei Filodrammatici di Milano), che vede la collaborazione tra l’Accademia dei Filodrammatici di Milano e il servizio di Etnopsichiatria dell’Ospedale Niguarda, si propone di realizzare, attraverso le dinamiche del teatro, un intervento terapeutico da affiancare alle terapie convenzionali, per favorire il ripristino di un sé non più frammentato, ma che ha ritrovi la sua integrità.
Partecipano al progetto 15 migranti, 6 drammaturghi (Riccardo Mini, Cinzia Mela, Alice, Sacha Oliviero, Riccardo Tabilio, Laura Vagnoni, Alice Grati) 2 registi (Enrico Lofoco, Sergio Fantoni), 4 attori (Alice Pavan, Chiara Serangeli, Nicolò Polesiello e Federico Ragonese), 2 operatori sociali (Magda Emanuele, Laura Lagamucci) guidati nel percorso teatrale da trainer (artisti, alcuni di loroa loro volta migranti – Mateo Çili, Olivier Elouti, Dotcha , Daniel Koll, Mayil Georgi Nieto, Lorenzo Piccolo, Chiara Claudi) e per quanto riguarda il laboratorio di drammaturgia da Marco Di Stefano, il tutto coordinato da Tiziana Bergamaschi che sarà anche la regista dello spettacolo che andrà in scena al teatro Franco Parenti il 26 giugno 2019 (Giornata del rifugiato che ha subito tortura).
Un gruppo di persone che, pian piano, si è andato creando, iniziando da un lavoro molto importante di training che abbiamo svolto da gennaio a fine febbraio in cui le abbiamo fatte incontrare con diverse modalità di fare teatro, cercando di passare loro degli strumenti: la voce, il corpo, lo spazio, il teatro sensoriale, tutto finalizzato alla creazione di un insieme anche perchè loro non vivono insieme, ma in diverse parti di Milano, in diversi centri e quello che le unisce è il recarsi presso l’ospedale Niguarda per continuare un’attenzione nei loro confronti da parte dello psichiatra Lorenzo Mosca, dalle psicologhe, dalle assistenti sociali che li aiutano in questo difficile percorso di ambientazione in un luogo nuovo e di cui non parlano molto la lingua.
Creare un gruppo è stato interessante, è stata una scommessa.
Conoscere, attraverso il Teatro, queste persone che si erano incrociate, ma non si erano mai viste – anche se hanno in comune il fatto di essere straniere e rifugiate – è stato interessante perchè loro non avevano mai sentito parlare di Teatro, o di Teatro come lo intendiamo noi occidentali, ma si sono ambientate subito e hanno lavorato insieme.
Il lavoro che è stato fatto non tanto per far sì che si formassero attori straordinari, ma per far sì che il Teatro avesse una funzione di cura, affiancando quelle degli specialisti dell’ospedale; un Teatro di cura che non fosse psicodramma, teatro terapia, ma uno spazio della fantasia in cui liberare le loro anime molto appesantite. In questo gruppo, le ragazze e i ragazzi si sentono in una famiglia: la cura da sola, isola. Il gruppo teatrale, invece, porta ad un confronto tra persone che condividono i problemi e i sogni.
Per noi il Teatro è un “effetto collaterale”, lo spettacolo è solo il finale di un percorso che vuole, prima di tutto, creare sintonia, trovare un posto in cui non si sentano soli in un Paese straniero, senza punti di riferimento, ma tra voci amiche. E vorremmo continuare a fare questo anche per i prossimi anni.