Yemen, nonostante la guerra: ne parliamo con Laura Silvia Battaglia
di Alessandra Montesanto
Laura Silvia Battaglia, giornalista, è anche l’autrice e la regista del documentario “Yemen, nonostante la guerra”, il suo ultimo lavoro importante, un omaggio alla società civile yemenita, capace di grande resistenza.
Associazione Per i Diritti umani ha incontrato Laura Silvia Battaglia e la ringrazia per la disponibilità.
Lo Yemen prima era una Repubblica (che non vuol democrazia) che si è unificata abbastanza recentemente, in realtà negli anni ’90 che è ritornata ad essere divisa. Il sud del Paese con capitale Aden è nelle mani del governo centrale anche se il presidente ___ non vive a Aden ,ma a Riad, in Arabia saudita dove ha chiesto la protezione dei sauditi e quindi, di fatto, governano loro. Poi c’è un governo non riconosciuto a livello internazionale, guidato dagli huthi che sono una famiglia/tribù specifica con sede a San’a la città più grande al confine del Nord. Gli hutu hanno maturato negli anni precedenti una sostanziale volontà e necessità di non dialogare con il governo centrale e di separarsi perchè ritenevano di non essere abbastanza coinvolti nelle decisioni del governo centrale e continuano a vagheggiare un altro tipo di governo che è quello dell’imamato, un governo monarchico che era presente prima della nascita della Repubblica.
Oltre a questa grande divisione, nel Paese, ci sono delle istanze di separazione federalista da parte di altri governatorati – situati soprattutto ad est – che hanno velleità federali, ma non separatiste perchè hanno in mano la produzione di greggio e di gas. Questa situazione si ripercuote anche sui Paesi vicini perchè lo Yemen era un Paese guardato con attenzione dai Paesi vicini perchè era una Repubblica, che inoltre guardava con una certa simpatia alla Russia, quindi con una storia molto diversa rispetto agli Stati confinanti perchè stava a cavallo tra il nazionalismo arabo e il modello socialista; se lo Yemen fosse cresciuto su questo aspetto sarebbe diventato molto competitivo e allora una delle tecniche dei Paesi vicini è stata quella di influenzare lo Yemen culturalmente ed economicamente (soprattutto da parte saudita che ha imposto gli status-symbol soprattutto sui giovani yemeniti che aspirano alla ricchezza e al lusso).
Lo Yemen, inoltre, si trova in una posizione invidiabile, sullo stretto di ____, che consente il passaggio dall’oceano indiano, tramite il Corno d’Africa, al Canale di Suez: chi controlla lo Yemen, controlla tutto il passaggio delle navi, di petroliere in particolare, che si riforniscono in Iran e Arabia saudita. L’Iran ha bisogno che qualcuno dia noia allo Yemen e ai suoi confini per poter passare e vendere il greggio agli europei per cui lavorano ai fianchi dei sauditi, come fecero in Libano e in Iraq, e come fanno con Hamas nella Striscia di Gaza e in Siria. In Yemen da diversi anni si sta combattendo una guerra he è una sorta di antipasto per l’armageddon finale per il Paese che sarebbe una tragedia per tutta quest’area del mondo.
Yemen, nonostante la guerra. Per volontà del produttore, del distributore e di RAIdoc è un film che vuole riassumere questi anni e capire come si è arrivati a questa guerra, ma anche che vuole raccontare quello che dello Yemen non si racconta mai e cioè chi resiste. Difficile farlo perchè l’accesso al Paese è estremamente limitato e si entra spesso soltanto con il canale dell’embedding o con le truppe saudite o pagando i trafficanti che pagano poi i ribelli huthi (operazione disdicevole perchè si pagano 6mila euro che verranno utilizzati per comprare armi) e queste realtà non mostrano mai la società civile né tantomeno ti fanno parlare con le persone liberamente. Usando in parte l’eccezionalità della mia situazione (giornalista, ma sposata ad uno yemenita) che mi permette di entrare nel Paese regolarmente senza un ufficiale che possa controllare il mio lavoro, ho accesso alla vita quotidiana e sono venuta a contatto con delle realtà straordinarie: il maestro che apre la scuola nella casa di famiglia, il giornalista che denuncia i rapimenti di persone ad Aden ma la Polizia non accoglie le sue denunce perchè i poliziotti di notte “arrotondano”, il direttore d’orchestra che sfida la censura degli huthi e crea un’accademia rimbomba la passione per la musica…Tutte queste persone, in questi modi, fanno politica: fa politica senza i partiti, senza le milizie e anche senza le Ong. Quando c’è un popolo in guerra passa il concetto che quel popolo sarà sempre bisognoso; invece i popoli hanno una dignità e cercano delle soluzioni, indipendenti da poteri esterni solo che spesso non sono né rappresentati né ascoltati.
Il nostro intento è stato quello di individuare delle storie simboliche della resistenza della società civile, di gente che resiste in senso politico, partecipa della città trovando soluzioni e affrontando gli ostacoli.
Per tutta la parte di contesto e di racconto del Passato abbiamo usato buona parte del mio archivio non utilizzato dal 2012 ad oggi. Questo materiale è stato montato con le storie che ho raccolto durante i miei tre viaggi in Yemen, tra il 2016 a oggi e, qualche mese prima della messa in onda, abbiamo sviluppato alcune storie che ci interessavano, organizzando delle unità sul territorio con colleghi locali, lavorando per ogni città, giorno per giorno. In questo modo abbiamo dato la possibilità a delle persone del luogo di fare i reporter. In una delle mie unità, quella girata a San’a, ha lavorato con noi una collega che mi ha detto di essere molto scocciata di avere richieste in cui le redazioni le chiedono di raccontare la fame, il colera, gli ospedali, etc. Lavorando alla nostra unità, invece, e grazie all’operato di un bravissimo fotografo, ha conosciuto cose del proprio Paese che ancora non conosceva. Con il documentario si restituisce agli yemeniti stessi una memoria storica dimenticata o sconosciuta, quindi. Da una parte mostriamo la bellezza e l’eccellenza del Paese, dall’altra conserviamo un pezzo di Storia insospettabile (le donne, negli anni ’70, non si vestivano come si vestono oggi! Ad esempio).
Tutte le persone yemenite che hanno visto il documentario hanno dato un riscontro positivo e anche gli italiani che conoscono bene il Paese. E la mia soddisfazione è quando mi dicono: “Finalmente una cosa che racconta NOI”.
Il problema è che, di fronte ai conflitti, i media vanno sempre in cerca di due aspetti: una narrazione televisiva, per immagini con scene forti e l’essere umano ridotto a un nulla, e una grande insistenza retorica. Ma questo non garantisce veridicità alla storia, ma solo pornografia. Dopo quasi sei anni di guerra abbiamo continuato a mostrare bambini nudi e emaciati, con il compiacimento di molti giornalisti, ma i nostri bambini continuano a morire. Una terza via di narrazione esiste ed è una narrazione che, per quanto possa essere eccezionale, si impone necessariamente perchè i veri protagonisti sono le persone che resistono. Ritengo che la retorica faccia molto bene ai canali televisivi e ai giornalisti che la cavalcano, ma toglie dignità alle persone che hanno subìto o che subiscono la guerra. Noi, invece, dobbiamo individuare quali possano essere le possibili soluzioni ai conflitti, insieme alla società civile, per il cambiamento in positivo e concreto della situazione nel Paese.