Dalla “mala” milanese alle frontiere dell’anima
appassionati di Massimo Carlotto conosceranno sicuramente Beniamino
Rossini, uno dei suoi personaggi più amati. In La
terra della mia anima (sempre
edito da E/O) lo stesso compagno di avventure dell’Alligatore decide
di raccontare la propria esistenza, una vita che attraversa
l’immediato dopoguerra – quando inizia a fare lo “spallone”
trafficando in sigarette – per arrivare alla guerra civile, passando
per la Resistenza.
ha un animo nomade, batte le terre d’Italia e d’Europa e si spinge
fino al Libano; ma la sua anima viene ancorata nel mare, in quella
distesa aperta e infinita che promette libertà eterna. E di libertà
ne ha vissuta, il Rossini, una libertà sfrenata fatta di soldi e di
femmine. Una libertà spezzata, a periodi, da anni di galera che non
hanno fiaccato lo spirito indomito. Una vita appassionata, vissuta ai
margini di frontiere fisiche e interiori, ma con princìpi saldi,
un’etica criminale che oggi non esiste più e poi un amore, quello
per un uomo diventato donna.
romanzo, uno dei più intensi di Carlotto, attraversa il Novecento, i
momenti più bui del nostro Paese, con riflessioni di stretta
attualità, come quella che riguarda le carceri: “Ora le rivolte
non esistono più, le nuove carceri e le ristrutturazioni di quelle
già esistenti sono state concepite per impedire ogni forma di
protesta organizzata. In passato però furono un fenomeno molto
diffuso, provocato dalle condizioni di vita inaccettabili nelle
prigioni della Repubblica. Se oggi i detenuti hanno a disposizione un
water e un lavandino, un fornello da campeggio, una caffettiera e un
pentolino, lo si deve solo al sacrificio di quelli che si ribellarono
e vennero picchiati, trasferiti e condannati. Sbaglia chi pensa che
quel minimo di decenza venne portato nelle carceri da politici o
intellettuali illuminati che sono arrivati sempre dopo e con un
ritardo imbarazzante” e questo è solo un esempio. Così come può
esserlo, oggi, la passione politica di Beniamino che, parlando di un
suo mèntore, Enrico il Barbùn, dice: “Era comunista, in Svizzera
aveva avuto problemi con la polizia, ma era un nemino dichiarato del
partito. Aveva sempre considerato Stalin un dittatore sanguinario e
all’inizio fu difficile discutere di politica. Quando parlava male
dell’Unione sovietica mi veniva voglia di saltargli addosso”.
il libro commuove per la capacità di scandagliare l’animo umano. Una
frase su tutte, da sottolineare e ricordare: “ Voglio tentare di
andarmene pervaso da un senso di appartenenza. Forse è una furbizia
per sentirmi meno solo, ma il desiderio è sincero e preferisco il
cuore in tumulto e la testa piena di sogni alla rassegnazione e
all’urgenza del pentimento”.