Sudan: firmato l’accordo di pace
I sopravvissuti al genocidio in Sudan attendono giustizia e protezione
Dimostrazioni fuori dall’Università di Zalingei in Darfur occidentale. Foto: United Nations Photo via Flickr CC BY-NC-ND 2.0
Dopo la firma di un accordo di pace per il Sudan, l’Associazione per i popoli minacciati (APM) chiede una rapida attuazione del trattato e una maggiore protezione e giustizia per i sopravvissuti al genocidio. Soprattutto in Darfur la situazione della sicurezza è catastrofica. I sopravvissuti al genocidio hanno finora atteso invano la restituzione delle loro terre rubate e la punizione dei responsabili della loro violenta espulsione. Ancora nel luglio 2020, in Darfur le milizie avevano ucciso più di 100 membri della popolazione civile. Molti degli assassinati erano tornati solo di recente nei loro villaggi dai campi profughi dopo aver ricevuto una falsa promessa di sicurezza. Senza sicurezza e giustizia non ci sarà una pace duratura.
Nel trattato di pace firmato a Juba, capitale del Sudsudan, il governo sudanese e i più importanti gruppi di resistenza del Darfur dichiarano la fine della guerra civile nella parte occidentale del Paese, in corso dal 2003. L’accordo ha anche lo scopo di contribuire a garantire la pace nelle zone contese del Kordofan meridionale e della provincia del Nilo Blu. L’accordo dettagliato si basa su un accordo di pace di base firmato dalle parti l’11 settembre 2019. Dopo dieci mesi di ulteriori trattative, hanno concordato le regole di base per la sicurezza, la condivisione del potere, la gestione delle materie prime, la giustizia e il ritorno dei rifugiati.
Per l’Associazione per i popoli minacciati, l’attuazione del trattato di pace sarà una sfida enorme. Promettere la giustizia sulla carta è solo un primo passo, anche se importante. Portare davanti ad un Tribunale i responsabili delle Forze di supporto rapido (RSF) per i crimini commessi contro la popolazione civile sarà una sfida molto ardua. La milizia della RSF è responsabile della morte violenta di migliaia di civili. La milizia, che ora è stata integrata nell’esercito sudanese, è considerata un serbatoio per le temutissime milizie a cavallo dei Janjaweed in Darfur. Sono responsabili dello sfollamento di 2,5 milioni di persone e della morte di diverse centinaia di migliaia di altri. Quello che molti anni è stato il loro comandante, Mohamed Hamdan (noto come Hemeti), era a capo della delegazione governativa durante i negoziati.
Tuttavia, la disputa sul trasferimento dell’ex capo di Stato Omar Hassan al-Bashir alla Corte penale internazionale dell’Aia, che infuria da mesi, rende evidente quanto l’apparato di sicurezza sabotasse qualsiasi indagine su crimini di genocidio. Secondo indicazioni dell’ONU sarebbero state vittime del genocidio nel Sudan occidentale almeno 400.000 persone. Ma per l’APM il numero effettivo delle vittime è decisamente più alto.