Giustizia per Taranto. Il processo ambientale più importante in Italia
Associazione Per i Diritti umani ha intervistato Mimmo Laghezza, attivista in Giustizia per Taranto e giornalista professionista, in occasione del più importante processo ambientale in Italia. Ringraziamo moltissimo Mimmo Laghezza per le informazioni e la disponibilità.
di Alessandra Montesanto
Innanzitutto, Mimmo, puoi ricordarci brevemente la vicenda dell’Ilva?
“Il siderurgico – che allora si chiamava Italsider – nel 1995 è passato dalla gestione pubblica nelle mani della famiglia Riva. Una vendita farsa perché l’hanno pagata un’inezia.
Detto questo, sarebbe sbagliato attribuire al privato colpe superiori rispetto a quelle statali. Probabilmente le manutenzioni sono state particolarmente disattese, ma in termini di inquinamento quella fabbrica era pensata per una durata di trent’anni, ma poi quel limite – che era stato posto come tempo massimo di esposizione di una popolazione agli inquinanti – è stato disatteso.
Nulla è stato mai fatto perché quel ‘mostro’, come chiamiamo lo stabilimento siderurgico a Taranto, si protendesse verso il futuro utilizzando tecnologie all’avanguardia, come pure è stato fatto in altri Paesi civili. Perché, pur ammettendo che la sensibilità ambientalista negli anni della gestione statale non fosse molto alta, è certo che la pericolosità degli inquinanti prodotti da un siderurgico fosse nota agli esperti e quindi ai decisori”.
Ho letto della denuncia di un noto medico tarantino già all’indomani della messa in funzione degli impianti.
“Sì, il dottor Alessandro Leccese: un ufficiale medico di Taranto, che aveva evidenziato che gli studi condotti sino ad allora avevano rilevato una maggiore mortalità per tumori al polmone, soprattutto dove nel pulviscolo atmosferico sono presenti berillio, molibdeno, arsenico e benzopirene. Grazie alle denunce di professionisti come lui, sul piano ambientale si iniziò presto ad avere contezza dell’impatto del siderurgico. L’amministrazione provinciale del tempo si era posta la questione dei possibili danni ambientali e sanitari dell’inquinamento generato dal siderurgico, tanto che nell’ottobre del 1965 (quindi a neanche un anno dalla prima colata di ghisa, datata novembre 1964) fu organizzato un convegno su “Problemi di medicina sociale in una zona a rapido sviluppo industriale”. Nel 1965 e nel 1967 il dottor Leccese aveva prodotto altre relazioni sulle emissioni del siderurgico in mare e in atmosfera, ma per questa sua attività dovette sperimentare un sostanziale isolamento. Scriveva nel suo diario: «Mi hanno lasciato solo a battermi per la difesa di Taranto dall’inquinamento determinato massivamente dagli scarichi a mare delle acque di lavorazione del centro siderurgico entrato in funzione di recente. Malgrado le sollecitazioni fatte dal ministero della Sanità, al prefetto, al medico provinciale e al sindaco, per fronteggiare la grave situazione venutasi a creare, nessuno di loro si è mosso, nel timore di urtare la suscettibilità di alcuni politici locali interessati al problema».
Non erano passati neanche tre anni dacché l’Italsider aveva cominciato a produrre e quindi a inquinare!”
Lo scorso 1 febbraio è partita la fase finale del processo ambientale più importante nella storia italiana, che vede 47 imputati. Di cosa sono accusati?
“Possiamo dire ‘della storia europea’, senza ombra di dubbio. Sono a processo 44 persone fisiche e 3 persone giuridiche e sono accusati di disastro ambientale, ma anche per imputazioni relative all’avvelenamento di sostanze alimentari, alle omesse cautele per la sicurezza sul lavoro, alla corruzione e all’abuso di ufficio”.
Il pm, Mariano Buccoliero, ha pronunciato frasi molto dure, facendo riferimento anche ad una scuola: la scuola Deledda, nel quartiere Tamburi, a Taranto. Ce ne vuoi parlare?
“Il pm, nella sua requisitoria durata nove giorni, ha definito sciagurata e criminale la conduzione dell’Ilva da parte della famiglia Riva. Nel crimine – il processo ci dirà, come auspichiamo, se dal punto di vista anche penale – che è certamente morale, ricade il disinteresse di qualsiasi premura riguardasse i più piccoli, i bambini e gli adolescenti. A poche decine di metri dal camino E312, lo sputaveleni per eccellenza, c’è la scuola ‘Deledda’, che il pm Buccoliero ha definito «la scuola della morte», perché intasata dalle polveri nocive. Parlando dei bambini che frequentano quella scuola e più in generale dei cittadini che vivono ai Tamburi, il pubblico ministero ha definito «l’inquinamento prodotto da quella fabbrica devastante per l’ambiente e per la salute».
Sui bambini dei Tamburi, soprattutto quelli delle famiglie meno abbienti, fa riflettere una letterina per Babbo Natale scritta da uno di loro, qualche tempo fa e che è stata portata in aula dal pubblico ministero: «Visto che ci serve, mi porti una macchinetta per fare l’aerosol?»
Dimmi se è ammissibile ascoltare una simile richiesta… dimmi in che baratro siamo sprofondati se la politica a tutti i livelli preferisce tutelare i profitti (quali, poi???) legati alla presenza del ‘mostro’ piuttosto che salvare vite umane!”
Quali sono le richieste dei familiari delle vittime dell’Ilva e delle famiglie degli operai che ancora vi lavorano?
La città chiede a gran voce la chiusura immediata delle fonti inquinanti. Non c’è altro tempo da perdere. Quella fabbrica, oltre a provocare malattie e morte, inghiotte 2 milioni di euro a giorno, soldi pubblici: tu terresti in strada la vecchia Prinz del nonno che sputa fumi neri ad ogni accelerata, che consuma un litro di carburante a chilometro e che perde pezzi a ogni tragitto?
Non c’è logica. Ma ci sono logiche lobbistiche che tengono aperto quel rottame, antieconomico e amorale!
Poi c’è una minoranza davvero esigua che vuole mantenere lo status quo: si tratta prevalentemente di operai, sui cui criteri d’assunzione stendiamo un velo pietoso, che vengono da altre province; pur sobbarcandosi un viaggio, ogni giorno, si sentono al sicuro perché hanno almeno gli affetti a 70-100 chilometri di distanza dalla principale fonte di diossina d’Europa: si stima che a Taranto si produca il 93% della diossina italiana, il 67% di piombo… Numeri impressionanti che fanno il paio con quelli che voglio evitarti sulla mortalità infantile.
Qual è la voce dei tarantini in merito a questa vicenda?
Ti rispondo con un’evidenza: alcuna famiglia tarantina non è stata toccata dalle conseguenze nefaste degli inquinanti.
Soffriamo molto l’isolamento a cui siamo stati ridotti; sui media, tranne pochissime voci informate, ma che evidentemente non fanno parte del grande circo dell’acciaioitalianoprimaditutto, passa l’idea di una città che vorrebbe tutelare quei pochi posti di lavoro che ora l’ex Ilva ancora garantisce.
Ti dò un elemento, su tutti, di riflessione: il 15 dicembre del 2012 si è svolta una manifestazione – ovviamente pacifica – contro l’inquinamento al grido di ‘Taranto libera’… Hanno partecipato quasi 30.000 persone: pensi che una cosa simile non dovesse passare sui canali nazionali? Ritieni che il grido di indignazione di un’intera città, non dovesse essere reso pubblico?
Invece, nulla. Da quel momento, il nostro agire è stato rivolto a parlare ‘fuori’, dal denunciare quello che viene sottaciuto, del diritto alienato alla salute e alla vita.
Io ho scritto un libro per ragazzi (Il formicaio delle zampe pelose, edito da Multimage, ndr) che parla dei nostri diritti negati: lo presento in tutt’Italia per raccontare ai ragazzi e ai genitori che li accompagnano, il nostro diritto – negato – ad una vita normale; il diritto di andare a scuola, ad esempio: sai che nei wind days (i giorni di vento da nord-nordovest) i bambini e i ragazzi dei Tamburi non possono andare a scuola? Per due, tre, talvolta quattro giorni, le scuole rimangono chiuse perché per le strade c’è una coltre di polvere color ruggine. Devono rimanere barricati in casa, con le finestre chiuse! E quando ritornano a scuola, devono ripulirsi i banchi nonostante il personale preposto avesse già fatto una pulizia radicale, prima del loro rientro in classe.
Come se ne esce, allora?
“Chiusura di quel vecchio catorcio bonifiche e riconversione! Il lavoro non dev’essere una fonte di morte per sé e per i propri cari. Il lavoro, quello pulito, dev’essere gioia di determinare sussistenza, non dolore e sofferenze.
Questo è il nostro mantra: chiusura, bonifiche e riconversione green! Ma non ‘green’ come è usato strumentalmente dalla politica: realmente green, rispettoso al 100% della salute e dell’ambiente.
Non vogliamo alcuna forma di assistenzialismo: chiediamo che il governo prenda atto della disumanità delle condizioni di vita a cui ci ha ridotto e ripari i danni con bonifiche e smantellamento del ‘vecchio rottame’; il resto lo faremo noi con la voglia di vivere e di rinascita che esprimiamo anche in questo momento difficile: perché il mare è una nostra risorsa, non possiamo proporla in termini turistici se hanno paura ad avvicinarsi a Taranto!”
Parole toccanti di chi, vive in prima linea, il dramma tarantino. Perché a pontificare su TV, giornali e web, da parte di tre quarti di Italia, senza avere contezza di ciò che accade, sono davvero buoni tutti!