Il Diritto dei conflitti: quando la vittima della guerra è la cultura
di Maddalena Formica
La finalità principale del Diritto internazionale umanitario nel contesto di un conflitto armato è ormai da decenni quella di proteggere i civili, ritenuti i soggetti più vulnerabili, vittime innocenti prive di mezzi per difendersi.
Proprio per raggiungere tale obiettivo, le Convenzioni e il Comitato Internazionale della Croce Rossa hanno sottolineato in più occasioni che non solo le persone, ma anche tutti i beni di natura civile, dagli edifici alle strade, godono di una protezione generale nell’ambito di una guerra, purché non siano ovviamente in qualche modo utilizzati per partecipare agli scontri.
Oltre a questa previsione generale, gli autori del Diritto internazionale hanno sentito l’esigenza di riconoscere e disciplinare una protezione specifica per alcune tipologie di beni che subiscono in maniera particolare l’impatto della guerra, beni tra i quali spiccano i beni culturali e i luoghi di culto.
Se la distruzione infatti di chiese, moschee ma anche collezioni d’arte e musei è stata considerata per secoli un normale ed inevitabile danno collaterale dei conflitti, negli ultimi decenni, con la diffusione di scontri tra gruppi interni ad uno Stato per motivi religiosi o etnici, questi beni sono diventati purtroppo bersagli militari specifici e, anzi, privilegiati: distruggere il patrimonio culturale del gruppo opposto significa distruggerne l’identità e così facendo annientarlo lentamente, senza possibilità di rinascita. Questa è stata la sorte, ad esempio, in cui sono incorsi i Buddha giganti dell’Afghanistan, statue millenarie scolpite nella roccia e distrutte dai Talebani nel 2001, o il Ponte di Mostar del XVI secolo in Bosnia-Erzegovina, raso al suolo dalle forze croato-bosniache durante il conflitto in ex-Jugoslavia.
La protezione di tali beni è oggi prevista sia dal Diritto internazionale classico, grazie soprattutto all’incessante lavoro dell’UNESCO, sia dal Diritto internazionale umanitario, sebbene quest’ultimo sia stato criticato dalla dottrina per la sua legislazione troppo “morbida”.
L’UNESCO, in particolare, incentiva gli Stati a classificare, ancora in tempo di pace, i beni che, per importanza religiosa o culturale, sono ritenuti meritevoli di protezione e, allo scoppio del conflitto, a questi beni dovrà essere apposto il simbolo dello scudo bianco e blu dell’UNESCO stesso: da questo momento il museo, la collezione o il luogo di culto sarà intoccabile, l’edificio o il monumento non potrà essere distrutto e pezzi o elementi dello stesso non potranno essere esportati o venduti.
Il Diritto internazionale umanitario, invece, riconosce tale tutela solo ai beni che risultano essere particolarmente importanti per la religione o la cultura di un gruppo, con una definizione dunque più restrittiva rispetto a quella prevista dal diritto internazionale, e la necessità militare può giustificare comunque la distruzione del monumento.
Queste previsioni, quale che sia la portata, sono un indizio importante di come gli autori del Diritto internazionale, anche umanitario, si stiano occupando piano piano di aspetti del conflitto che fino a pochi decenni fa erano assolutamente ignorati, riconoscendo finalmente il giusto ruolo centrale del patrimonio religioso e culturale di un popolo, che può essere distrutto non solo fisicamente ma anche nella sua identità.
Nella pratica, però, purtroppo, le indicazioni e gli obblighi internazionali sono poco rispettati e pochissimi sono gli artefici della distruzione di opere d’arte o luoghi di preghiera ad essere giudicati dinanzi alle Corti internazionali. L’unica, speranzosa, eccezione è stata nel 2016 la condanna per crimini contro l’umanità da parte della Corte penale internazionale dello jihadista Al Mahdi, leader dell’organizzazione terroristica Ansar Dine, reo di aver distrutto sedici mausolei di Timbuctu in Mali nel 2012. Gli edifici del XIV secolo, simboli culturali maliani, sono purtroppo andati perduti ma, grazie anche al lavoro dell’UNESCO, il colpevole è stato condannato e una loro perfetta e completa ricostruzione è stata possibile in tempi record.