“LibriLiberi”. Il volto dell’altro. Quando la gioia diventa una scelta di libertà
di Alessandra Montesanto
E’ tornato in libreria, Davide Bettera con il suo ultimo libro intitolato Il volto dell’altro. Quando la gioia diventa una scelta di libertà, Meltemi editrice.
Bettera è scrittore, filosofo, giornalista e vicepresidente dell’Unione Buddhista Europea che, rifacendosi all’ “idiota pensatore” di Deleuze indica una via di cambiamento individuale e collettiva che affonda le radici nella relazione.
Ricco di riferimenti al pensiero occidentale (Epicuro, Cartesio, Nietszche), orientale (taosimo, sufismo, buddhismo), all’ebraismo e con riferimenti a filosofofi moderni e contemporanei (Buber, Onfray, Lèvinas), con il racconto di storie personali che riguardano, ad esempio, il nonno e un prozio, Bettera accompagna per mano il lettore in un viaggio spirituale, non necessariamente religioso, anzi: i culti – e i luoghi della loro rappresentazione – hanno chiuso l’individuo in un sistema di dogmi che si sono fatti, nel tempo, barriere e prigioni dove ognuno si illude di trovare la salvezza. Salvezza da chi? E da cosa? Principalmente dalla paura universale: quella della finitudine. Tale paura inquina ogni aspetto dell’esistenza, ogni azione quotidiana con il timore dell’annullamento che diventa ossessione per la salute o la bellezza del corp oppure con il desiderio di vivere tanto intensamente quanto in maniera superficiale; è competizione, è prepotenza, è solipsismo. Si annullano, così, i valori della solidarietà, della comprensione, dell’empatia.
La soluzione proposta – annunciata come una nuova luce sulla nebbia che permea oggi l’umanità decadente e malinconica, per non dire rabbiosa o rassegnata – è un ritorno alla purezza ontologica, quella con cui nasciamo, quella di un bambino che si affaccia al Nuovo, sì anche con paura, ma con altrettanta curiosità, privo di sovrastrutture, capace di sentire istintivamente di non poter sopravvivere senza l’Altro, all’inizio senza il corpo e lo Spirito vitale della madre.
Madre-mamma, Madre-terra, Madre-relazione: l’Io da solo non può sopravvivere, l’io-tu sì perchè il mio sangue è lo stesso dell’Altro, le mie emozioni sono le stesse dell’Altro, la mia paura è la stessa dell’Altro, il mio destino finale è lo stesso dell’Altro. Ecco perchè, oggi, sarebbe importante tornare a mettere in atto la Filosofia della cura (come suggeriva anche nei suoi preziosi saggi Elena Pulcini): vivere filosoficamente è una scelta salvifica per se stessi, per la comunità di appartenenza, per la società di riferimento, per l’umanità tutta. Vivere filosoficamente non vuol dire estraniarsi, come gli asceti, dal mondo reale – sarebbe troppo facile! -, ma come insegnano i sufi vuol dire imparare a cercare la gioia in ogni attimo della quotidianità, anche in quello più difficile e faticoso: convertire e convertirsi ad uno sguardo più ampio, com-prendere, elaborare interiormente ogni esperienza per tramutarla in insegnamento in una direzione costruttiva di una “cittadella” (come si legge nel testo) inespugnabile di sicurezza, di pace, di pienezza da donare anche a chi ci sta di fronte, dono di serenità e di scoperta. Il Mistero è dentro di noi. E il noi è l’ubuntu, come si dice nelle tribù africane: quel senso di collaborazione e di saggezza tramandata che è necessario, oggi più che mai, recuperare per non perderci nella desolante e sterile solitudine dell’ horror vacui.