20 marzo 1994
di Barbara Raccuglia
Si dice che il 20 marzo sia la giornata mondiale della felicità. Un’esperienza mai raggiunta, dai genitori di Ilaria Alpi, che si sono arditamente battuti per la ricerca della Verità.
Passano trent’anni per Luciana Riccardi e Giorgio Alpi, che nel frattempo invecchiano, e finiscono la loro vita, senza aver mai potuto fare luce e giustizia sull’omicidio dell’unica figlia.
Il 20 marzo del 1994, venivano assassinati a Mogadiscio, la giornalista italiana e fotoreporter Ilaria Alpi, e il cineoperatore Miran Hrovatin. Ilaria giunse per la prima volta in Somalia nel dicembre 1992 per seguire, come inviata del TG3, la missione di pace Restore Hope, coordinata e promossa dalle Nazioni Unite per porre fine alla guerra civile scoppiata nel 1991, dopo la caduta di Siad Barre. Le inchieste della giornalista si sarebbero poi concentrate su un traffico internazionale di rifiuti tossici prodotti nei Paesi industrializzati e dislocati in alcuni Paesi africani in cambio di tangenti e di armi scambiate con i gruppi politici locali, vicende che avrebbero coinvolto i servizi segreti italiani e alte istituzioni italiane. Diversi documenti e testimonianze, affermano che Ilaria Alpi stava arrivando al cuore dei malaffari che legavano la Somalia all’Italia e ai Paesi dell’Est, dai quali provenivano gli armamenti, pagati col permesso di seppellire in loco le sostanze nocive.
Le circostanze in cui avvenne l’omicidio della giornalista e dell’operatore non furono mai del tutto chiarite, nonostante la battaglia della madre di Ilaria portata avanti fino alla morte avvenuta nel 2018.
Da allora è iniziata una vicenda processuale fatta di commissioni parlamentari, presunti tentativi di depistaggio, incarcerazioni, assoluzioni e richieste di archiviazione, senza mai riuscire a fare luce sul caso.
Per l’uccisione di Ilaria e Miran è stato condannato, in via definitiva, a ventisei anni di carcere uno dei presunti killer, Omar Hashi Hassan. Da tempo, però, numerose testimonianze e documenti mettono in discussione la sua colpevolezza. Infatti, Ali Rage Ahmed, detto “Gelle”, il principale accusatore di Hassan, sostiene di essere stato pagato per mentire su quella che a tutti gli effetti sarebbe stata un’ esecuzione organizzata, e non l’assalto di sette teppistelli in cerca di monete. Da subito sono circolate le ipotesi più diverse sulla loro morte, ma ci sono circostanze che inducono a ritenere che Ilaria avesse scoperto gravi illeciti, legati alla cooperazione. Elementi emersi da un’intervista che Ilaria realizzò a Abdullahi Moussa Bogor (sultano di Bosaso), che riferì di stretti rapporti intrattenuti tra alcuni funzionari italiani e il governo di Siad Barre, verso la fine degli anni ottanta. La registrazione dell’intervista è arrivata in Italia, incompleta, probabilmente manomessa; durava in tutto tredici minuti e le dichiarazioni del sultano risultavano spezzettate. Bogor, confermò che l’intervista rilasciata a Ilaria era almeno di due ore, non tredici minuti e che la giornalista gli aveva fatto parecchie domande sul traffico di armi e di rifiuti. Quanto alle domande e alle relative risposte, però, non c’era traccia nella cassetta restituita alla Rai. Resta curioso il fatto, che insieme ad altri oggetti di Ilaria, sia sparito il taccuino dove lei era solita annotare le sue inchieste.
Siamo in tanti a notare un evidente interesse delle istituzioni nel voler tenere sepolta la Verità. Gli stessi che intendono ricordare ILARIA ALPI come una giovane donna forte, curiosa e coraggiosa … Una ragazza, che voleva soltanto raccontare l’inferno.