Migranti, la grande mistificazione
di
Ignazio Masulli
(da Il Manifesto, 12/6/2015)
Da
settimane si agita lo spettro delle persone
sbarcate in Italia per cercare rifugio nel nostro
o negli altri paesi europei. In realtà, il loro numero
dall’inizio dell’anno al 7 giugno è di 52.671.
Quindi, poco più dei 47.708 registrati nello stesso periodo
dell’anno scorso. Sulla base di questo trend è calcolabile
un numero di 190.000 a fine anno (200.000 secondo altri). Come
si giustificano, allora, le posizioni estreme e i
toni, talora quasi paranoici, raggiunti nel dibattito
su questo fenomeno in Italia e in Europa?
Davvero si vuol far credere che l’arrivo di alcune
centinaia di migliaia di persone costituisca
una minaccia per gli equilibri economici
e sociali di un gruppo di paesi tra i più ricchi
del mondo?
In
realtà, stiamo assistendo a una grossolana
mistificazione.
Intanto,
sembra smarrito ogni senso delle proporzioni e si
parla come se s’ignorassero dati di fatto significativi.
I paesi membri dell’Ue, alla fine del 2013, contavano
un numero di immigrati di prima generazione (cioè
nati all’estero), regolarmente registrati ed attivi
nelle rispettive economie assommanti a più
di 50 milioni, di cui circa 34 milioni nati in un paese non europeo.
Questi immigrati, come gli altri che li hanno preceduti,
concorrono direttamente alla produzione
e alla ricchezza di quei paesi. E non si vede proprio
come nuovi flussi che si aggiungono a quelli registratisi
negli anni precedenti non possono essere assorbiti
con vantaggi demografici, economici
e socio-culturali, solo che si adottino politiche
appropriate e positive d’inclusione sociale.
In
secondo luogo, invece di contrastare sentimenti
xenofobi, che pure allignano in parti della popolazione,
li si strumentalizza e incoraggia pur
di guadagnare consensi elettorali nel modo
più spregiudicato. L’esempio più vicino di tale
irresponsabile comportamento viene
dalle dichiarazioni dei governatori di alcune
delle regioni più ricche del paese. Il loro lepenismo
sembra ignorare che proprio la vantata ricchezza
di quelle regioni è dovuta anche al massiccio
sfruttamento del lavoro degli immigrati.
Sfruttamento tanto più facile e pesante con
i clandestini. E questo ci porta dritto alla
seconda mistificazione cui stiamo assistendo in
Italia e in Europa.
Indicare
gli immigrati come una minaccia serve a motivare
misure di contrasto e leggi restrittive che in
realtà servono a sfruttare al massimo il loro
lavoro, inducendoli a lavorare in nero, in
impieghi pesanti e mal pagati, in affitto, a chiamata
e simili. Infatti, sono proprio le soglie di sbarramento
all’integrazione, poste sempre più in basso, e il
mancato o difficoltoso riconoscimento
dei diritti ai lavoratori immigrati che permettono
ai gruppi dirigenti economici e ai loro alleati
politici di sfruttare anche l’immigrazione per spingere
verso la concorrenza al ribasso delle condizioni
di lavoro. In tal modo, si rendono più agevoli le
politiche di restrizione dei diritti dei lavoratori
e di smantellamento dello Stato sociale.
In
terzo luogo, agitare lo spettro del pericolo
immigrazione occulta altre responsabilità.
Il fatto, cioè, che i maggiori paesi europei, Gran
Bretagna e Francia in testa, ma seguiti anche da
Germania e Italia si sono fatti promotori,
accanto agli Stati Uniti e insieme ad altri, di pesanti
interventi politico-militari in Africa e in Medio Oriente.
L’elenco è lungo. Si può cominciare dall’interminabile
guerra in Afghanistan. Si può proseguire con il
supporto dato alla ribellione contro il regime
siriano, rinfocolando conflitti civili
e religiosi che ora sfuggono ad ogni controllo.
Ancor più diretto è stato l’intervento in Libia, col
risultato di una situazione, se possibile, ancor
più confusa e ingovernabile. Si è soffiato
sul fuoco di vecchi conflitti tra le popolazioni
in Africa Centro-orientale perseguendo obiettivi
tutt’altro che chiari. E lo stesso può dirsi per gli
interventi in Mali e altri paesi.
Nel
2013, il numero di profughi che hanno cercato di
fuggire da zone di guerra, conflitti civili,
persecuzioni e violazioni dei diritti
umani è stato di 51,2 milioni. Anche a considerare
circa un quinto di essi, vale a dire gli 11,7 milioni di
persone che, in quell’anno, si trovavano sotto il
diretto mandato dell’Alto commissariato per
i rifugiati delle nazioni unite e per i quali
disponiamo di dati certi, vediamo che più della metà era
costituito da persone che fuggivano dalla guerra
in Afghanistan (2,5 milioni), dall’improvvisa
deflagrazione del conflitto in Siria (2,4 milioni),
dalla recrudescenza degli scontri da tempo in atto in
Somalia (1,1 milione). Ad essi seguivano i profughi
provenienti dal Sudan, dalla Repubblica democratica
del Congo, dal Myanmar, dall’Iraq, dalla Colombia, dal
Vietnam, dall’Eritrea. Per un totale di altri 3 milioni,
sempre nel solo 2013. Altri richiedenti asilo cercavano
di scampare dai «nuovi» conflitti in Mali e nella
Repubblica Centrafricana.
La
grande maggioranza di queste e altri milioni di
persone fuggite da situazioni di pericolo
e sofferenza, sempre nel 2013, non hanno cercato
e trovato accoglienza nei paesi più ricchi
d’Europa o negli Usa, bensì nei paesi più vicini. Paesi con
un Pil pro capite basso e variante tra i 300 e i 1.500
dollari l’anno. Infatti, fin dallo scoppio della guerra
del 2001, il 95% degli afgani ha trovato rifugio in
Pakistan. Il Kenya ha accolto la maggioranza dei
somali. Il Ciad molti sudanesi. Mentre altri somali
e sudanesi hanno trovato rifugio in Etiopia,
insieme a profughi eritrei. I siriani si
sono riversati in massima parte in Libano, Giordania
e Turchia. Di fronte all’entità di questi flussi,
il numero delle persone che, sempre nel 2013, hanno
cercato protezione internazionale in
8 dei paesi più ricchi dell’Ue, con Pil pro capite dai
33.000 ai 55.000 dollari, assommava a 360mila (pari
all’83% dei rifugiati in tutta l’Ue).
Questi
dati di fatto dimostrano l’assoluta mancanza di
fondamento e la totale strumentalità
che caratterizza la discussione in atto tra i paesi
membri e le stesse istituzioni dell’Ue. Si
discute di pattugliamenti navali, bombardamenti
di barconi, per concludere con quello che viene
definito un «salto di qualità» nel dibattito e che
consisterebbe nella proposta di accogliere
nei 28 paesi membri dell’Ue un totale di 40.000 rifugiati
in due anni. Mentre, nel 2013, Pakistan, Iran, Libano,
Giordania, Turchia, Kenya, Ciad, Etiopia, da
soli, ne hanno accolti 5.439.700. Il che significa che un gruppo
di paesi, il cui Pil è 1/5 di quello dei paesi dell’Ue, ha
accolto in un anno un numero di immigrati e rifugiati
che è 136 volte più grande del numero di quelli che sono
disposti ad accogliere i paesi della grande Europa in
due anni! Ma perfino questa misera proposta viene
ora messa in discussione, dato anche l’atteggiamento negativo
di paesi come la Gran Bretagna e la Francia, che
pure si autodefiniscono grandi e civili. Lo
spettacolo di tanta pochezza politica e morale
induce a chiedersi se i nostri governanti e i
dirigenti di Bruxelles si rendono conto che
stanno assestando un altro colpo alla credibilità
dell’Unione europea.