PRIDE: lavoratori, omosessuali e diritti negati
Bretagna, storia recente: nel 1984 l’allora Primo Ministro, Margaret
Thatcher, decide di chiudere una serie di impianti estrattivi con la
conseguente perdita di molti posti di lavoro. Nasce, così, una
grande mobilitazione dei minatori in molte zone del Paese, uno
sciopero imponente che blocca le attività per quasi un anno.
villaggio del Galles, Delays, molte famiglie riescono a vivere solo
grazie all’estrazione del carbone, per cui la scelta politica ed
economica risulta ancora più grave: ecco, però, che un gruppo di
londinesi si unisce agli operai nella lotta. Si tratta di un gruppo
di giovani omosessuali che costituiscono il “Lesbian and Gays
Support the Miners” (LGSM).
anticipiamo quale fu l’esito di quella protesta, ma sicuramente essa
diede un segnale forte ai britannici, e a tutto il mondo, in
direzione della tutela dei diritti civili: si parla di dignità dei
lavoratori e di rispetto per l’amore tra persone dello stesso genere.
Un anno dopo, nell’85, i miners decisero di partecipare ad uno dei
più grandi gay-pride nella capitale inglese: un insegnamento di
solidarietà reciproca che dovrebbe valere anche a distanza di
trent’anni.
applaudito alla sezione “Quenziane des Réalisateurs” del
Festival di Cannes dello scorso anno, Pride
è una commedia sociale, colorata e scoppiettante che, fra i sorrisi
e le gags molto “british”, porta a fare anche riflessioni di
stretta attualità.
è, infatti, l’orgoglio di chi protesta, di chi ha ancora la voglia e
il coraggio di scendere in piazza a gridare che i diritti non vanno
calpestati e i diritti fondamentali (come quello alla vita, alla
salute, al lavoro, all’istruzione) appartengono a tutte e a tutti,
senza distinzioni di nazionalità, di ceto, di età. Ma c’è anche il
diritto all’ amore che non va sottovalutato perchè le
relazioni affettive stanno alla base di una buona qualità
dell’esistenza.
anni ’80 – quelli in cui il regista Matthew Warchus e lo
sceneggiatore Stephen Beresford ambientano la pellicola – sono
stati l’epoca dell’edonismo reaganiano, seguito a ruota dall’era
della lady di ferro e dall’Occidente intero, caratterizzata, quindi,
da una forte sperequazione sociale, in cui i ricchi (cocainomani
affaristi) erano lontani anni luce dalla working class (sempre più
schiacciata da debiti e tasse).
e sceneggiatore raccontano quel periodo attraverso le vicende del
capo dei minatori – Mark Ashton che fonda il comitato di lotta contro
la chiusura degli impianti – e la grintosa Hefina Headon che,
affiancata dal dolce Cliff, darà vita al movimento di sostegno degli
omosessuali. Oltre a loro, gli altri compagni di avventura che più
diversi di così non potrebbero essere. Questa è la chiave,
originale e interessante, del film: un film scritto e diretto da due
professionisti del teatro che sanno come creare il giusto ritmo alla
narrazione, tramite regia, montaggio, musica e dialoghi. Uno dei temi
principali, infatti, è la convivenza possibile tra persone che
appartengono a mondi molto differenti tra loro: i nerboruti operai,
che hanno una mentalità chiusa, retrograda e maschilista, vengono
affiancati al gruppo chiassoso, sregolato e anticonformista dai gay.
All’inizio il rapporto arriva quasi ad essere violento, nelle parole
e nei fatti, ma col tempo e la conoscenza, la situazione cambia a tal
punto che si instaura tra loro un’amicizia. Ma un legame di questo
tipo, partito con premesse così difficili, necessita di intelligenza
e di apertura mentale: prima curiosità, poi fiducia e poi
solidarietà e questo viene reso possibile in un contesto
storico-politico che certo non agevolava l’antirazzismo e
l’antidiscriminazione. Anzi.
scene del film riportano alla mente altre pellicole di grande
successo, come ad esempio Grazie
signora Tatcher
e Billy Elliot
e c’è un omaggio musicale doveroso a Ken Loach, il regista
britannico che più di tutti ha saputo raccontare quegli anni in
quell’area geografica: una bellissima Bread
& Roses
cantata a cappella. Un momento da brividi che si inserisce, quasi
come una preghiera, in una colonna sonora pop e ritmata che fa venire
voglia ancora di ballare.
si scade nella volgarità, ma le battute degli attori sono incisive,
nonostante il testo sia leggero; le sequenze sono state girate
proprio nei luoghi in cui si è svolta la vicenda reale per non
dimenticare il fatto drammatico che fa da sfondo alla trama. E,
infine, non è da dimenticare il fatto che la storia, che qui si
intreccia a quella con la “S” maiuscola, propone una riflessione
anche sullo scambio generazionale: uomini adulti, con un’educazione
conservatrice, si affiancano a giovani con poca esperienza in vari
settori. E tutti impareranno qualcosa dagli altri, ricordando agli
spettatori l’importanza di quei valori positivi su cui si basa la
civilità occidentale e umana.