Deir Ezzor e la situazione siriana
Secondo l’agenzia Sana la maggioranza delle vittime del massacro a Deir Ezzor, in Siria, sono donne, bambini e anziani. L’Isis ha ucciso 300 civili e rapito 400 persone, si tratta della strage più feroce compiuta dai terroristi fino ad ora.
Ripubblichiamo una nostra intervista a Shady Hamadi, giornalista e scrittore italo – siriano, autore del saggio La felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione siriana.
Capire cosa accade in Siria, oggi.
Cosa, gli analisti occidentali, non hanno voluto vedere a proposito di ciò che è accaduto e che accade in Siria?
La prima questione odierna è la presenza di una società civile in Siria e le motivazioni vere che hanno mobilitato la società siriana che è uscita da un regime dopo quarant’anni e dopo averci provato varie volte, nel 2000 e nel 2005, ma anche nell’82 con la strage di Hama: nonostante ci siano state colpe acclarate dei Fratelli Musulmani, una certa parte aveva scelto la strada del dialogo. E, secondo me, oggi, non bisogna trovare una sorta di dicotomia tra regime e fondamentalisti.
Il suo racconto parte da lontano, da suo nonno e da suo padre: parla di loro per arrivare a capire il Presente…
Recentemente ho fatto una riflessione, sul Corriere della sera, riguardo al senso della Storia applicato in Siria e sarebbe un discorso da approfondire.
Mio padre è cresciuto, per volontà di mio nonno, presso una scuola salesiana vicino a Talkalakh e allora c’era un sistema di istruzione che funzionava, anche perchè era un retaggio del colonialismo.
La differenza, invece, tra la sua generazione e quella odierna è che quella di oggi è stata indottrinata per quarant’anni e non ha una conoscenza della Storia dalla quale viene, i loro piedi non affondano bene nelle radici storiche e questo si sta presentando in ciò che avviene in Siria: invece, dovremmo guardare, ad esempio, agli anni’50 quando un Cristiano era Primo Ministro. L’incosapevolezza crea un problema e lo creerà anche in futuro.
I giovani che hanno lottato per il Presente, lo hanno fatto, quindi, senza conoscere il Passato?
All’inizio c’era una élite consapevole (e lo dicevano anche gli slogan “Il popolo siriano conosce la Storia”), ma c’è anche una facilità di radicalizzazione nei ragazzi che ha due motivazioni: la prima, è che la Siria è stato costituita, durante l’era della famiglia al Asad, su un sistema comunitario e confessionale, mettendo, per la prima volta nella storia contemporanea del paese, le minoranze al potere. Questo ha prodotto che l’80% della popolazione si sentisse esclusa dalla possibilità di gestire il potere, creando quel risentimento che poi si è concretizzato. La seconda motivazione è lo smantellamento della scuola, per cui quello che accade oggi ai giovani siriani è comprensibile se noi guardiamo a quello che è accaduto negli ultimi quarant’anni.
In contrapposizione a questi ragazzi, troviamo una piccola élite di giovani,anche sunniti, che sostengono il regime perchè hanno guadagnato dei benefit e si sono, in qualche modo, occidentalizzati. Questa piccola élite non guarda alla mancanza di diritti politici e di libertà ma ha scelto di accontentarsi di una libertà apparente: una modernità, fatta di discoteche e belle macchine, priva di ogni pensiero critico verso il brutale status quo imposto dal regime.
Come si può avviare, allora, una transizione verso una forma democratica di governo?
Jawdat Said, una guida religiosa sunnita, ha detto che la democrazia è come una ruota: una volta inventata, tutti la vogliono.
Io penso che la democrazia, prima di tutto, nasca da una cultura, nel senso che ci deve essere rispetto reciproco per le idee. Invece la società mediorientale è una società che non nasce da un’esperienza di confronto, ma è repressa. La mancanza di dialogo fa sì che non ci sia un’autocritica: ad esempio, non c’è una riforma religiosa perchè il governo vieta una critica e non c’è nemmeno la possibilità di progredire in altre maniere. Se noi vediamo la produzione di papers accademici delle università del mondo arabo, è molto più bassa rispetto a quella di alcuni Paesi africani.
La democrazia, quindi, è un percorso ed è necessario un dialogo interno.
Ci racconta la vicenda del vignettista Alì Ferzat?
Alì Ferzat, un po’ come tutti gli intellettuali, nel 2011 si è schierato e ha iniziato a parlare apertamente contro il regime siriano: è stato caricato su una camionetta, da parte dei servizi segreti, e gli hanno spezzato le mani proprio perche faceva il vignettista. Questo è un messaggio simbolico sull’impossibilità di avere qualsiasi tipo di espressione che possa prescindere da quella che è la dottrina del regime.
Qual è la situazione in Siria, oggi e quali saranno, a suo parere, gli scenari futuri?
In Siria c’è una mancanza di senso storico, ma c’è un profondo senso nazionale, nonostante la disgregazione su base confessionale.
Per il futuro prevedo che ci sarà un perenne stato di conflitto che può durare dieci, forse vent’anni, ma che si dovrà poi risolvere. Come? Ad esempio, guardando a quelli che sono stati gli accordi di Ta’if, quelli libanesi, dove si può creare una Camera Alta a elezioni universali e una Camera Bassa a elezioni confessionali.
Non credo che lo Stato Islamico resisterà o creerà un califfato perchè le loro prime vittime sono gli stessi musulmani in quanto i musulmani che non sono d’accordo con loro vengono chiamati “apostati”, tagliati a pezzi e crocefissi.
Un’altra possibilità per il futuro della Siria è che possa rimanere Assad, che si crei uno Stato confessionale, con una piccola percentuale di sunniti, e rimanga lì a baluardo delle necessità della Russia o dell’Iran; penso che questa ipotesi sia lontana e credo, invece, che arriveremo ad un dialogo, ma non so se questo dialogo porterà all’estromissione degli Assad (perchè non c’è la volontà internazionale) oppure se si arriverà ad una Siria federale in senso confessionale per poi trovare una unità.
Perchè la comunità internazionale non si occupa della Siria?
Prima di tutto, gli americani lo avrebbero fatto se ci fosse stato, in Siria, il petrolio. In secondo luogo, Obama non ha una politica estera credibile in Medioriente, invece Putin ha le idee molto chiare su quello che c’è da fare. E come se si fosse ricreato un muro di Berlino a Damasco…
Non sottovalutiamo, inoltre, l’Iran che è una Repubblica imperialista, ma teocratica, che adopera lo scontro tra sciiti e sunniti per costruire le sue aree di influenza.
Infine, l’Unione Europea non ha una politica estera comune: vediamo che la Francia fa una cosa e l’Italia un’altra, ad esempio. E, come detto, gli Stati Uniti aspettano.
L’intervista è contenuta nel libro intitolato “MOUSAOKON – Voci e immagini per i Diritti umani”, curato dall’Associazione per i Diritti Umani. Le info su: www.peridirittiumani.com