Le immagini del nostro tempo: report dal Festival della Fotografia Etica di Lodi
Sabato 8 ottobre si è inaugurata la 7ma edizione del Festival di Fotografia etica, a Lodi, organizzato dal Gruppo Fotografico Progetto Immagine
VIOLENZA: questa, purtroppo, è la parola ricorrente nelle immagini e nei temi delle mostre presentate in questo primo week end della manifestazione che resterà in corso fino alla fine del mese.
Tante le sezioni che vanno ad arricchire il programma: “Le vite degli altri”, “Uno sguardo sul mondo”, “Spazio approfondimento”, “Spazio ONG” e i premi assegnati a fotografi nazionali e internazionali. Un programma che permette al visitatore un viaggio nei posti caldi del pianeta, in cui l’umanità fa sempre più fatica a trovare il proprio senso, quando il senso dovrebbe essere dato dalla garanzia della vita stessa. Esistenze, invece, messe in pericolo a causa di sopraffazioni, abusi, disastri ambientali, malattia.
Fotografie patinate, sfuocate, colorate e in bianco e nero che restituiscono lo sguardo di autori attenti e partecipativi al dolore degli altri e che costringono, come recita il sottotitolo del festival, a mettere in gioco la propria coscienza davanti ad interrogativi che dovrebbero appartenere a tutti noi: “Cosa posso fare per alleviare questa sofferenza?”, “Cosa può fare il mio governo per aiutare quell’Altro da me, ma tanto simile?”, “Cosa può fare la comunità a cui appartengo per accogliere il problema di chi abita lontano?”.
Qualcuno pensa che il Ku Klux Klan non esista più, ma non è così: il lavoro fotografico di Peter Van Agtamel, che appartiene alla famiglia Magnum, dimostra che in una zona di quell’America profonda, chiamata al voto tra poche settimane, esiste eccome: circa 5000 membri si appellano ancora alle ideologie del nazionalismo bianco, all’antisemitismo e all’anticattolecisimo; si parla anche di alta finanza, per collegarsi alla globalizzazione e ai suoi effetti nefasti, nel reportage straniante di Paolo Woods e Gabriele Galimberti in cui vengono ritratti manager di fantomatiche aziende straniere, spalmate nei quattro continenti, tra piscine di acqua blu e grattacieli mozzafiato, luci sfavillanti e orologi a cinque zeri…Un mondo dorato che accende i riflettori sui meccanismi e le contraddizioni dei paradisi fiscali; Uruguay e Brasile sono Paesi in cui la violenza dilaga tra i più giovani per la mancanza di istruzione, di controllo statale, di proposte ricreative (in Brasile tra il 1980 e il 2011 le morti violente degli adolescenti sono cresciute del 207,9%) e risulta sconcertante come gli autori delle fotografie abbiano messo a rischio anche la propria columità fisica per poter riportare la realtà così dura e pericolosa di quelle società; un tema di forte attualità è quello che riguarda il landgrabbing, il furto della terra da parte delle multinazionali nei Paesi del sud del mondo (Paesi via via sempre più poveri perchè ricchi di materie prime e di prodotti agricoli) ed ecco allora che Claudia Andujar – con la ONG “Survival International” – documenta la vita quotidiana e la lotta per la sopravvivenza degli Yanomani, nella foresta amazzonica.
Ma il progetto che più colpisce, in questi primi giorni di programmazione, si intitola “Where the children sleep” a cura del fotografo svedese Magnus Wennmann: chiaro scuri, ombre, colori tenuti e volti, occhi, mani, corpi. Appartengono ai bambini siriani in fuga da quella maledetta guerra iniziata cinque anni e mezzo fa; molti di loro hanno quell’età, altri sono più piccoli o più grandi. Sguardi tristi, impauriti, stanchi. Dormono accasciati per terra, in mezzo ai boschi, si risposano per pochi istanti, alcuni raccontano (si legge nelle didascalie) di non riuscire a prendere sonno per paura, altri di non volere il cuscino perchè il cuscino ricorda la notte, il momento in cui iniziavano i bombardamenti. Sì, bisogna aprire gli occhi e le coscienze, se vogliamo ancora considerarci parte dell’ Umanità.