Relazione finale sulla commissione JO COX, a Montecitorio
E’ stata a Presidente della Camera, Laura Boldrini, ad introdurre giovedì 20 luglio alle 11, nella Sala della Regina di Montecitorio, la presentazione della Relazione finale della Commissione Jo Cox sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio.
La Commissione sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio, dal momento della sua istituzione, il 10 maggio 2016, ha condotto attività di studio e ricerca e svolto numerose audizioni. E’ presieduta dalla Presidente della Camera e include un deputato per ogni gruppo politico, rappresentanti di organizzazioni sopranazionali, di istituti di ricerca e di associazioni nonché esperti.
È stato componente della Commissione il professor Tullio De Mauro, deceduto il 5 gennaio 2017.
De Mauro ha offerto un autorevole e prezioso contributo ai lavori, anche attraverso la predisposizione di un inventario delle “parole d’odio” che sarà pubblicato in allegato alla Relazione finale.
“Saluto e ringrazio la Sottosegretaria Maria Elena Boschi, la professoressa Chiara Saraceno, la deputata Milena Santerini che tanto si è spesa in questa Commissione, e gli altri relatori e relatrici che partecipano all’evento odierno.
Saluto i componenti della Commissione Jo Cox, i colleghi deputati e deputate, i rappresentanti delle Istituzioni, delle associazioni e degli organismi internazionali qui presenti.
Presentiamo oggi la relazione finale approvata lo scorso 6 luglio dalla Commissione Jo Cox, dopo aver fatto un bel percorso di 14 mesi di intenso lavoro. Una commissione mista, con deputati (uno per gruppo), esperti, società civile, a lavorare insieme per un unico obiettivo.
Abbiamo voluto dedicare questa Commissione a Jo Cox, la giovane deputata britannica che il 16 giugno 2016, di Jo Cox viene uccisa dall’odio politico. Per queste ragioni abbiamo pensato che fosse doveroso dedicare a lei il nostro lavoro.
C’ è stato anche il Consiglio d’ Europa che ci ha sollecitato, ha sollecitato le assemblee parlamentari a creare una ‘Alleanza contro l’odio’: “fatevi sentite – ci ha detto – perché ci diffonde odio è capace di imporsi nel discorso pubblico”. Ci ha chiesto di unire le forze e noi abbiamo voluto rispondere a quella chiamata, istituendo una Commissione che è l’embrione di quello che dovrà essere nel nostro Paese una grande Alleanza contro l’odio.
Eravamo e siamo fortemente convinti che i fenomeni d’odio e i pericoli che ne derivano oggi siano stati considerati poco, considerati marginali, e invece la relazione dimostra tutta la loro gravità.
Nel fare questa analisi ci abbiamo messo tempo: 31 audizioni e 187 documenti di varia natura.
La Commissione si è data anche un metodo: la Professoressa Saraceno è stata la coordinatrice di un Comitato ristretto del quale hanno fatto parte i deputati Brescia e Santerini, il professor Ferrari, il dottor Gazzelloni dell’ISTAT e, sino alla sua scomparsa, il professor Tullio De Mauro. Io ringrazio la signora De Mauro per essere qui oggi con noi, ci ha fatto un grande regalo.
Nella relazione c’è l’ ultimo lavoro del professor de Mauro: quell’inventario delle “Parole per ferire” era ancora nel computer del professore. La professoressa Saraceno, grazie alla collaborazione della moglie del professore, è riuscita a recuperare dal computer su cui lavorava l’ultima versione di questo documento.
Dalla relazione abbiamo voluto estrapolare la piramide dell’odio in Italia. Questa piramide richiede risposte. Alla base della piramide si pongono gli stereotipi negativi e la loro passiva accettazione, le false informazioni e le false rappresentazioni. E poi c’è un linguaggio ostile, normalizzato, banalizzato: ‘che vuoi che sia, sono ben altri i problemi’.
E invece ci sono dati che colpiscono enormemente.
Colpisce che un cittadino su quattro consideri l’omosessualità una malattia.
Colpisce che l’Italia sia il Paese europeo con il massimo tasso di non conoscenza dei fenomeni migratori, il massimo tasso di ignoranza: eppure avremmo buone ragioni per conoscerlo. La maggioranza degli italiani pensa infatti che gli immigrati residenti sul suolo italiano siano il 30% della popolazione, anziché l’8% effettivo, e che i musulmani siano il 20%, quando sono il 4%.
Colpisce che il 65% degli italiani (contro il 21% dei tedeschi) consideri i rifugiati un peso perché godono di alcuni benefit, secondo loro, mentre si ignora il contributo positivo che invece danno in termini di saldi fiscali e contributivi, come ci ricorda sempre il Presidente dell’Inps Tito Boeri.
Colpisce anche che un quarto della popolazione creda che i rom, sinti e caminanti siano in Italia tra uno e due milioni, anziché tra 120 e 180mila, di cui metà italiani.
Fa impressione questo scarto, questa clamorosa divaricazione tra i numeri e la realtà percepita. E sono soprattutto le persone che non conoscono, che non hanno accesso ai dati, le persone che probabilmente si limitano ad ascoltare certi esponenti politici o a leggere alcuni giornali, che sono più frequentemente portatrici di atteggiamenti di odio. Purtroppo chi non sa è portatore di odio.
In questa piramide dell’odio alle donne, a noi donne, è riservato un posto di rilievo. Le cifre sulle discriminazioni nell’ambiente di lavoro o nella ricerca di lavoro dovrebbero parlare chiaro, ma una quota non trascurabile della popolazione non se ne accorge proprio: soltanto il 43,7% degli italiani riconosce che le donne ne siano oggetto.
Su questa base le donne finiscono per essere il principale bersaglio di odio. E’ un dato su cui riflettere. In particolare, le donne sono di gran lunga le maggiori destinatarie del discorso d’odio on line: l’indagine dell’Osservatorio VOX sulle comunicazioni via Twitter in Italia ha rilevato che le donne sono oggetto del 63% di tutti i tweet negativi rilevati nel periodo agosto 2015-febbraio 2016.
Un odio al quale non sfuggono le donne in politica, bersaglio, come documenta la relazione, di insulti specificamente sessisti, sia da parte di colleghi (inclusi quelli del proprio partito), sia sui social media.
Nella relazione non ci si limitiamo a prendere atto di questi fenomeni, ma indichiamo delle responsabilità. Qui siamo tutti chiamati in causa: le istituzioni, la politica, i media, la scuola.
Inoltre la relazione ci mostra come la diffusione dell’odio stia mettendo a repentaglio l’assetto democratico. Tante persone non si sentono libere di parlare, di dire la propria, perché hanno paura dell’assalto dell’odio. E se non c’è libertà di espressione perché si teme di essere vittima di odio e di intimidazione, è la democrazia stessa che ne risente.
Non possiamo più derubricare offese sanguinose, razziste, sessiste e omofobe a semplici battute, a episodi di goliardia o di esuberanza. Così come non si può più ritenere che il linguaggio violento sia una forma di efficace linguaggio politico: “finalmente qualcuno che parla chiaro!”. E allora, giù odio!
Questo è qualcosa che impoverisce il dibattito politico, abbassa terribilmente il livello della discussione. Il disprezzo verbale che ascoltiamo spesso nelle nostre aule, in tv, nei talk show, ha ripercussioni nella società: perché se i politici lo utilizzano, anche i cittadini si sentono autorizzati a fare altrettanto. Ci sono delle responsabilità in questo. E chi è eletto non può ignorare la propria responsabilità nella comunicazione politica.
Non vogliamo più minimizzare. Basta minimizzare, perché questo fa male al nostro Paese. Siamo di fronte ad un problema serio, che deve essere trattato seriamente. Ci deve essere una strategia di contenimento, di contrasto.
Con questo obiettivo nella nostra relazione facciamo 56 raccomandazioni concrete e puntuali. Raccomandiamo la raccolta dei dati. I dati sono essenziali, perché si dice che senza dati non c’è problema: no data, no problem, no policy. I dati sono essenziali per evidenziare il tema e mettere in atto efficaci politiche di contrasto. La Sottosegretaria Boschi mi diceva che c’è questo impegno con l’Istat per fare un raccordo di dati sulle questioni di genere, perché è uno degli ambiti più scoperti. Anche a livello europeo il sessismo non è considerato uno dei motivi di discriminazione. Scriverò agli organi competenti, perché nel nostro Paese la fotografia che noi abbiamo ci dice che il sessismo è il problema numero uno. Saremo ‘strani’ noi, o è così anche in altri paesi? Comunque questo fattore va messo al centro della discussione anche europea.
Invitiamo anche i media a fare una riflessione su questo, su una percezione così diversa dalla realtà, perché le informazioni passano a volte, non sempre, attraverso i media. Bisogna contrastare gli stereotipi, non assecondarli.
Ci occupiamo anche dell’odio in rete. Non può essere una condizione che dobbiamo accettare. L’odio in rete deve essere contrastato, e nella nostra relazione noi indichiamo alcune possibilità.
Intendo poi, alla ripresa dei lavori a settembre, promuovere con i colleghi e le colleghe deputati e deputate la presentazione di una mozione che riprenda i contenuti delle nostre raccomandazioni, sul modello di quanto abbiamo fatto nel novembre 2015 per la Dichiarazione dei diritti e dei doveri in Internet.
Tutto questo diventerà una mozione? Non lo so, mi auguro di sì. Con la Dichiarazione dei diritti in Internet ci siamo riusciti, è diventata una mozione approvata all’unanimità in questa Camera. Mi auguro che anche su questo importante tema si possa raggiungere non dico l’unanimità, ma un’ampia maggioranza sulla mozione che presenteremo – mi auguro – a settembre.
E’ giunto il tempo di monitorare la diffusione dell’odio: come si fa coi fiumi in piena, bisogna stare attenti che non superino il livello di guardia. E io credo che stiamo arrivando al livello di guardia.
E’ giunto il tempo di reagire concretamente a coloro che, urlando, seminano odio, a chi avvelena i pozzi ogni giorno. E’ il tempo di dare voce a chi lo combatte a sostenere chi ne è vittima.
Perché oggi la situazione è paradossale: chi semina odio oggi è più presente nel dibattito pubblico di chi lo subisce. Il razzista oggi ha ampio spazio nel dibattito pubblico. Siamo andati oltre la par condicio tra razzismo e antirazzismo: ha vinto il razzista. E questo ci deve far riflettere: la nostra Costituzione dice un’altra cosa. Siamo oltre quello che dice la nostra Costituzione.
L’Alleanza contro l’odio ha molto da fare. Mi auguro che questa alleanza cresca, perché solo in tanti, solo tutti insieme, riusciremo a vincere questa difficile battaglia”.
Tratto da www.camera.it.