“Scritture al sociale”. L’urlo dei media
di Patrizia Angelozzi
Mi chiedono di esprimermi sugli ultimi terribili atti di violenza. Stupro. Non sono d’accordo sul veicolare notizie drammatiche cavalcando l’onda di terrore e di rabbia che ci sta sommergendo, eppure la violenza impera, sulle donne, sulle ragazzine, alcune ancora bambine. Solo un anno fa, diversi i casi di minorenni italiane, stuprate da gruppi di coetanei senza uscire dal perimetro dei loro luoghi di residenza. Furono aggredite verbalmente e sul web, nelle stradine dei loro paesi e nel vociare ignobile, di chi, per difendere ‘ragazzi di buona famiglia’, scelse di scaricare responsabilità, sull’ innocenza. E’ una colpa essere innocenti, vestire i propri anni imitando le coetanee. Recarsi in un posto di polizia e denunciare, riconoscere visi, nomi. Farsi visitare in una sorta di autopsia da vivi, farsi sezionare i pensieri nei ricordi di un dramma che MAI potrà essere cancellato. Eppure accade in Italia che anche i sindaci, trovandosi in Tv (Programma di approfondimento di La7) si lascino sfuggire che lo stupro, ’è una bambinata’, altra violenza inaudita. Famiglie italiane che hanno dovuto scegliere di fuggire via dai propri luoghi per poter continuare a sopravvivere. Perché non si vive più, ci si prova.
I media, sono al lavoro, ogni INSANO giorno, pronti a ‘stuprare’ l’opinione pubblica, enfatizzando, senza che ce ne sia bisogno con ogni particolare. Dettagli che dovrebbero restare all’interno di atti d’ufficio.
Iniettano veleno ,promuovono vendetta e il delirio collettivo sale, in questa nauseante ricerca del macabro, l’emulazione è il danno successivo.
Ma questi opinionisti, commentatori, inalberati e rabbiosamente lucidi, pronti a condannare chiunque pur di scaricare una violenza interna che gli appartiene come il nome di battesimo, siamo sicuri siano ‘normali’?
Quante donne massacrate, violate, uccise abbiamo avuto negli ultimi anni in Italia? Quanti erano già stati denunciati? Quante di loro sono state protette? Non ho MAI visto né letto titoli in prima pagina a difenderle, a ricordarle, a sollevare il ‘problema’. Uccise da un delitto ‘passionale’ è la ricorrente quanto svilente definizione del giornalista tout-court, che mira alle visualizzazioni, alle vendite di un cartaceo vicino al macero, per contenuti.
Ci vogliono regole, per chi non è autorizzato a restare nel nostro Paese, come negli ultimi avvenimenti. Regole per chi ha una residenza e una cittadinanza. Regole per chi uccide la fidanzata, l’ex, la moglie, la compagna, i figli… Ci sono lapidi, foto, ricordi ingialliti, dolori immensi, mentre nel nostro Paese, c’è un detenuto che nel carcere di Bollate (MI), lavora come centralinista a 1000 euro al mese. Lui è Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’uccisione della fidanzata, Chiara Poggi. E questo mi fa orrore. Dov’è la notizia nei Tg? Sui social? Dov’è la rabbia, l’indignazione? Vorrei leggere di vittime rispettate e di carnefici processati, di onestà e legalità.